Dopo le minacce in campagna elettorale, si teme la fine dell’accordo nucleare con l’Iran. Le conseguenze dell’elezione di Trump potrebbero, però, essere diverse da quelle prevedibili a caldo
di Francesca La Bella
Roma, 10 novembre 2016, Nena News - Le elezioni negli Stati Uniti hanno una valenza che tracima i confini nazionali e, dopo l’annuncio della vittoria di Donald Trump, numerose sono state le dichiarazioni di Capi di Stato e funzionari internazionali sul possibile impatto del voto sul sistema delle relazioni internazionali mondiali.
Per quanto riguarda il Medio Oriente, immediata è stata la presa di posizione del Governo iraniano. Durante la campagna elettorale, infatti, Trump aveva indicato come priorità la cancellazione dell’accordo sul nucleare con l’Iran, accusando Teheran di essere tra i maggiori sponsor del terrorismo mondiale. In riferimento a questo, il portavoce dell’Organizzazione per l’Energia Atomica dell’Iran, Behrouz Kamalvandi, avrebbe dichiarato che l’Iran proseguirà con l’attuazione del Joint Comprehensive Plan of Action siglato lo scorso anno con il gruppo 5+1 (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania). Poco dopo, secondo quanto riferito dalla televisione di Stato iraniano, sarebbe stato lo stesso Hassan Rouhani a prendere parola sulla vicenda.
Il Presidente iraniano, avrebbe, infatti, dichiarato che l’accordo nucleare, in quanto approvato da una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, non può essere modificato autonomamente da un singolo governo. Avrebbe, inoltre, aggiunto che il processo di integrazione dell’economia iraniana nel mercato mondiale dopo la fine delle sanzioni è in espansione e, ormai, irreversibile.
A supporto di questa visione si ricordi che, solo pochi giorni fa, la francese Total e la China National Petroleum Corporation (Cnpc) hanno espresso la volontà di siglare un accordo per lo sfruttamento delle risorse iraniane di gas. In base alla accordo, National Iranian Oil Company, Total, Cnpc e la iraniana Petropars, dovrebbero formare un consorzio per lo sviluppo dei giacimenti di South Pars con un progetto di circa 6 miliardi di dollari.
Così, mentre sia l’Europa sia altre potenze mondiali, Russia e Cina in primis, sembrano muoversi in direzione di una ripresa effettiva delle relazioni con l’Iran e il potere negoziale di Teheran, anche a livello d’area, si è reso evidente durante le discussioni sull’accordo petrolifero in ambito OPEC e nella crisi siriana, gli Stati Uniti con Trump potrebbero scegliere di intraprendere una strada diversa. Le motivazioni sono molteplici e, probabilmente, quella principale è legata al rapporto preferenziale tra gli Stati Uniti ed Israele. Se in campagna elettorale Trump aveva promesso che se avesse vinto avrebbe proposto lo spostamento dell’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, con un forte messaggio a favore della dirigenza israeliana, dopo il voto, Benyamin Netanyahu si è congratulato per la vittoria ricordando il legame di grande amicizia tra Trump ed Israele.
Allo stesso tempo, la presenza al fianco di Trump di Sheldon Adelson, imprenditore statunitense figlio di genitori ebrei e sponsor di molte campagne per il ritorno degli ebrei in Israele e di Netanyahu stesso, dimostrerebbe un indissolubile legame tra i due Paesi. La volontà di contenimento della potenza iraniana da parte di Israele potrebbe, dunque, trovare ascolto nella nuova dirigenza statunitense. Parallelamente figure come l’ayatollah Ali Hoseyni Khamenei, da sempre contrario all’accordo nucleare, potrebbero trovare nuovo consenso se la posizione statunitense dovesse dimostrarsi intransigente, portando ad un mutamento dei bilanciamenti di potere all’interno dello stesso Iran.
Il rapporto tra Stati Uniti e Medio Oriente è, però, complesso e le promesse elettorali non sempre sono da considerare indice del reale approccio diplomatico successivo alla nomina. A fronte di questo quadro, merita ricordare, infine, che la politica mediorientale è stato uno degli argomenti centrali della campagna elettorale dato il ruolo come Segretario di Stato di Hillary Clinton in Libia e in Siria e i legami della dirigenza statunitense con la monarchia saudita. Le critiche da parte repubblicana sono state feroci ed è stato imputato all’atteggiamento dell’ex Segretario di Stato il clima di paura in cui oggi vivono gli Stati Uniti.
In questo senso, se molti analisti tendono a sottolineare come molte delle potenze mediorientali, tra le quali sicuramente l’Iran, potrebbero giovare di una svolta isolazionista degli Stati Uniti che lascerebbe privi di supporto logistico ed economico alcuni attori d’area come l’Arabia Saudita, il riavvicinamento con la Russia potrebbe avere un affetto dirompente anche nelle scelte di politica internazionale. Un eventuale approccio aggressivo nel settore degli idrocarburi, con un sostanziale investimento nello Shale Oil statunitense, potrebbe, inoltre, creare gravi scompensi al mercato del greggio, portando ad un indebolimento ulteriore dei produttori petroliferi nell’area. I primi mesi del mandato, che inizierà ufficialmente il 20 gennaio, saranno da seguire attentamente per capire in quale direzione si muoverà il colosso USA. Nena News
Francesca La Bella è su Twitter @LBFra