Al di là delle ingerenze esterne e delle opposizioni interne, la genuinità delle manifestazioni si è vista anche nella partecipazione delle minoranze. Quella curda è scesa in piazza per rivendicare accesso al lavoro e investimenti
di Francesca La Bella
Roma, 11 gennaio 2018, Nena News - Valutare le proteste che si stanno sviluppando a partire da fine dicembre in tutto il territorio iraniano non è semplice. Le contraddizioni insite nelle manifestazioni sono numerose e fortemente legate agli interessi contrapposti tra diversi gruppi di potere interni e internazionali. Leggendo più in profondità sembra, però, apparire anche una genuina mobilitazione che, iniziata con rivendicazioni di tipo economico, sta progressivamente assumendo caratteri politici.
In questo contesto particolarmente variegato dove le ingerenze esterne, in particolare da parte statunitense, fanno temere che sia in atto un’eterodirezione delle proteste e dove le opposizioni interne cercano di cavalcare le mobilitazioni per togliere potere al liberale Rohani, anche la maggior parte delle forze progressiste e di sinistra iraniane hanno scelto di prendere posizione al fianco dei manifestanti. Allo stesso modo le minoranze etniche interne al Paese, azeri, curdi e arabi, particolarmente colpiti dagli effetti della crisi economica così come della repressione del governo di Teheran, hanno dimostrato di avere una significativa spinta alla mobilitazione.
Il caso della minoranza curda è esemplificativo. I curdi, come le altre minoranze iraniane, hanno subito discriminazioni e repressione lungo tutta la storia del moderno Iran. Da un lato, il mancato riconoscimento delle minoranze linguistiche ha impedito loro di accedere in maniera paritaria all’istruzione e dall’altra il difficile accesso ai sussidi statali ha escluso dalla formazione le fasce tradizionalmente più deboli, tra cui le donne, relegando la fetta di popolazione meno istruita a lavori poco qualificati e malpagati.
La disoccupazione nel territorio del Rojhelat (Kurdistan orientale) è più alta che in altre parti del Paese e gli investimenti infrastrutturali sono stati negli ultimi anni quasi nulli. A questo si aggiunga la mancata volontà dei Teheran di intervenire nel miglioramento dell’area anche in caso di emergenza come si è reso evidente con il ritardato intervento governativo a seguito del terremoto di novembre.
Alla luce di questo non stupisce osservare come negli ultimi anni siano state numerose le mobilitazioni per rivendicare maggiore accesso al mondo del lavoro, investimenti nel Kurdistan iraniano e miglioramenti infrastrutturali. Coloro che sono stati identificati come partecipanti delle proteste hanno, però, dovuto affrontare violenze, reclusione e pubbliche esecuzioni.
La partecipazione alle manifestazioni di questi giorni si inserisce in questo solco. Tutti i principali gruppi e partiti hanno preso la parola contro la repressione e le strade di città come Sanandaj o Kirmasan sono state occupate da migliaia di persone. Gli interventi, diversificati in base al background e alla storia politica delle singole realtà, hanno avuto come denominatore comune la volontà di emanciparsi, non necessariamente solo come entità etnica, dal controllo del governo centrale di Teheran.
Grande rilevanza è stata data, inoltre, sia al ruolo delle donne nel processo di mutamento sia al piano regionale. L’interdipendenza tra le dinamiche in atto in Siria, Turchia, Iraq e Iran risulta, ad esempio, centrale nel comunicato del Consiglio delle Comunità del Kurdistan (KCK). Gli eventi iraniani vengono direttamente collegati con quelli dei Paesi limitrofi e il Consiglio invita i curdi dei quattro Paesi ad un comune impegno per il rovesciamento dello status quo.
Per quanto limitato all’ambito iraniano, risulta interessante leggere anche l’intervento del Partito della vita libera in Kurdistan, Pjak, secondo il quale “ci sono quelli che, consapevolmente o inconsapevolmente, legano il dissenso del popolo solo a ragioni economiche. Ma bisogna sapere che alla radice di tutte le questioni ci sono ragioni politiche. Senza una soluzione democratica e senza applicare metodi di politica democratica, nessun problema in Iran sarà risolto. In questo contesto, tutte le dimostrazioni in Iran per un cambiamento e una trasformazione fondamentali sono legittime”.
Nonostante i dati, ad oggi, non siano particolarmente confortanti (si stimano circa 3.700 arresti e un ridimensionamento delle proteste) queste manifestazioni, se ben valorizzate dai loro stessi protagonisti, potrebbero riuscire a sviluppare effetti a lungo termine significativi. Nena News
Francesca La Bella è su Twitter @LBFra