La sfida al rigido codice di abbigliamento femminile arriva attraverso la campagna ‘Stealthy Freedoms of Iranian Women’ lanciata a inizio maggio dalla giornalista Masih Alinejad. Centinaia le iraniane senza hijab, per rivendicare il loro diritto a scegliere cosa indossare
di Sonia Grieco
Roma, 14 maggio 2014, Nena News – Centinaia di iraniane stanno pubblicando su Facebook le loro foto senza l’hijab (il velo) in luoghi pubblici della Repubblica islamica, rompendo il rigido codice di abbigliamento imposto alle donne. Fotografie scattate quasi sempre di nascosto, scoprendo il capo per il tempo di uno scatto, in diversi parti del Paese e persino in luoghi simbolo, come ha fatto una giovane e audace donna che si è fatta ritrarre di spalle, con i capelli al vento, di fronte all’ufficio dei Grandi Ayatollah a Teheran.
L’iniziativa lanciata all’inizio di maggio dalla giornalista iraniana Masih Alinejad, che vive in Gran Bretagna dal 2009, è diventata una campagna virale con oltre 150 foto pubblicate sulla pagina Facebook Stealthy Freedoms of Iranian Women, seguita da oltre 140.000 persone. È bastata una sua foto al volante senza il velo, scattata in Iran, per lanciare un appello che è stato raccolto da centinaia di iraniane. “Ho scritto della mia esperienza”, ha raccontato Alinejad al britannico The Indipendent, “Ero certa che tante donne iraniane che non credono nell’imposizione del velo avevano provato di nascosto la libertà di non indossarlo e ho chiesto loro di condividere quel momento di libertà furtiva”. La risposta, ha spiegato la giornalista, è stata “sbalorditiva”, ma non sorprendente. “È un diritto fondamentale di ogni persona poter scegliere e le donne in Iran e in altri Paesi vogliono scegliere cosa indossare”, ha aggiunto. In Iran uscire di casa senza velo è punibile con il carcere o le frustate, anche se di rado sono applicate queste pene.
Le donne che stanno partecipando a questa campagna mantengono l’anonimato non pubblicando il loro cognome, a volte nascondendo il volto, ma raccontano di un Paese che le priva del diritto di scegliere cosa indossare. Una ragazza che ha pubblicato una foto senza velo tra le rovine dell’antica Persepolis ha scritto di non essersi neanche nascosta -“C’erano molti visitatori attorno a me, anche guardie”- e ha spiegato che per lei il “il velo copre i suoi pensieri, le sue parole e le buone azioni, non la testa!”. Le testimonianze sono tante, di donne di tutte le età, sorridenti senza l’ hijab mentre corrono, fanno sport, sono in vacanza o semplicemente per le strade delle città iraniane. Scrivono dove e come hanno scattato le foto che risalgono anche ad anni addietro, raccontano della gioia di scoprirsi il capo in pubblico, sfidando un divieto imposto loro dai tutori della morale e anche dal timore del giudizio altrui o di perdere il lavoro.
Facebook è così diventato uno strumento per sfidare le autorità religiose, in un Paese dove i social media e internet in generale sono finiti spesso nel mirino dei chierici. Di recente la mano delle censura si è abbattuta sull’applicazione di messaggistica WhatsApp, perché di proprietà dall’azienda dell’inventore di Facebook, Mark Zuckerberg, considerato un “sionista americano”. La decisione della Commissione che monitora i contenuti del Web ha scatenato qualche attrito all’interno del governo del presidente Hassan Rouhani che si è mostrato più moderato su questi temi. Anche sul codice d’abbigliamento Rouhani ha avuto un atteggiamento più progressista: “Se una donna o un uomo non si attengono alle nostre leggi sul vestiario, la loro virtù non dovrebbe essere messa in questione. Secondo me, molte donne nella nostra società che non rispettano le leggi sul hijab sono virtuose. La nostra attenzione dovrebbe essere rivolta alla virtù”.
Nonostante i divieti, sarebbero oltre quattro milioni gli iraniani che usano Facebook e ricorrono ai social media anche il presidente, che su Twitter parlò della telefonata con Obama, e leader religiosi e politici. Twitter e Facebook sono stati banditi dopo la rielezione dell’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad nel 2009, ma restano accessibili attraverso i proxy, programmi che riescono ad aggirare la censura. La tecnologia non si piò fermare, ha ammesso lo scorso marzo il ministro della Cultura Ali Jannati, e adesso sul popolarissimo Facebook le donne iraniane hanno trovato un altro modo per esprimere il loro dissenso. Nena News