Per un tribunale di Teheran gli imputati (due iraniani con il doppio passaporto, un dottorando statunitense e un libanese da tempo residente negli Usa) “collaborano” con Washington. Un’altra corte iraniana, intanto, conferma la pena di morte per il fondatore del movimento spirituale Erfan Halgheh (Interuniversalism)
della redazione
Roma, 4 settembre 2017, Nena News – Sempre più tese si fanno le relazioni tra Iran e Usa dopo che un tribunale iraniano ha condannato ieri a 10 anni di prigione un americano di origini cinesi (Xiyue Wang), due iraniani con passaporto anche americano (Siamak Namazi e suo padre Mohammad Bagher Namazi) e un libanese residente stabile negli Stati Uniti (Nizar Zakka) rispettivamente per “collaborazionismo” con Washington e per “agire per conto del governo americano”.
A dare la notizie è stato mizanonline che ha riportato sul suo sito le parole del procuratore di Teheran, Abbas Jafari Folatabadi. Namazi e Nakka insieme ad altri tre detenuti erano già stati incriminati nell’ottobre del 2016 per essere “spie” degli Usa.
La notizia dei verdetti del tribunale è stata confermata anche da Jared Genser, l’avvocato dei Namazis il quale, in una nota ufficiale riportata dalla stampa americana, ha detto che la famiglia era stata già informata alcuni giorni fa dell’esito giudiziario negativo. Ad agosto anche l’università di Princeton e la moglie di Wang avevano fatto sapere di essere già a conoscenza della sentenza. Al momento dell’arresto, sostengono, lo studioso di storia stava effettuando nella Repubblica islamica una ricerca per la sua tesi di dottorato. Motivazione che non convince Teheran che parla di “spionaggio”.
Non meno grave è stata la sentenza per l’esperto libanese di tecnologia dell’informazione Zakka condannato a 10 anni di carcere e ad una multa perché, rivela il suo avvocato americano, avrebbe lavorato secondo Teheran “contro lo stato iraniano”. Il tecnico, invitato da un ufficiale del governo un anno prima, era scomparso dopo aver preso parte ad una conferenza nella capitale.
Da luglio il Dipartimento di Stato Usa fa pressioni sulle autorità iraniane per il rilascio dei suoi cittadini e degli stranieri “detenuti con il falso pretesto della sicurezza nazionale”. “La salvezza e l’incolumità dei nazionali americani restano una priorità – un ufficiale del Dipartimento dichiarò allora – Tutti i nostri cittadini, specialmente quelli con il doppio passaporto, dovrebbero però leggere con attenzione i nostri avvisi di viaggio”.
Sulla questione detenuti era stato durissimo anche il presidente Trump quando ha annunciato “nuove e gravi conseguenze” nel caso in cui i tre cittadini americani non verranno rilasciati. Un’accusa a cui il ministro degli esteri Javad Zarif rispose per le rime: “Washington detiene iraniani per motivi puramente politici”.
Le sentenze di ieri giungono in un periodo di fortissima tensione tra Teheran e Washington. Le relazioni tra i due stati, interrotte nell’aprile del 1980 in seguito alla Rivoluzione islamica iraniana, sono ai minimi termini da quando a gennaio si è insediato alla Casa Bianca Donald Trump. Alla base dell’attrito vi è l’intesa sul nucleare iraniano raggiunta nel 2015. Unico successo mediorientale della precedente amministrazione Obama, l’accordo è giudicato una vera iattura dal mondo repubblicano a stelle e strisce (e da Israele) perché non solo ha rimosso diverse sanzioni internazionali che gravavano sulla Repubblica islamica, ma, soprattutto, l’ha tolta almeno in parte dall’isolamento internazionale in cui si trovava.
I diversi artisti, giornalisti e uomini d’affari arrestati perché, secondo le autorità iraniane, “infiltrati occidentali”, hanno minato all’estero l’immagine moderata del presidente Rouhani da cui molti analisti si aspettavano maggiori legami politici ed economici con l’Occidente così come più riforme sociali sul piano interno. Tuttavia, a contribuire al clima di tensione crescente tra i due Paesi, grosse responsabilità le hanno soprattutto gli Usa che, sebbene stiano onorando l’accordo nonostante le minacce di Trump di annullarlo, hanno imposto contro Teheran nuove sanzioni unilaterali per il suo programma missilistico. Agendo in questo modo, Washington ha fornito un assist d’oro alle voci più intransigenti e conservatrici iraniane che sin dall’inizio dell’accordo hanno bollato il patto con il “Grande Satana” un grosso errore.
Ieri, intanto, un’altra corte iraniana ha deciso di riconfermare la pena di morte a Mohammed Ali Taheri, fondatore del movimento spirituale Erfan Halgheh (Interuniversalism in inglese) rovesciando la sentenza della Corte Suprema. Taheri è stato arrestato nel 2011 ed ha ricevuto cinque anni di prigione per “aver insultato le santità islamiche”. Nel 2015 è stato condannato con la pena capitale per “corruzione sulla terra”.
Secondo Amnesty International il leader di Interuniversalism è un prigioniero di coscienza ed è accusato di atti “per cui non dovrebbe essere nemmeno incriminato”. Diverso è il parere di Teheran che ritiene tali critiche pretestuose volte solo a fare pressione politiche sulla Repubblica islamica. Nena News