La stretta è avvenuta dopo una lunga indagine sulle cellule operative nel paese. Dopo i ritorni di jihadisti dalla Siria, il governo ha adottato una strategia di radicalizzazione, che però non ha evitato la nascita di una cellula nella capitale
di Marco Siragusa
Roma, 11 gennaio 2021, Nena News - Quando il 2 novembre Kujtim Fejzulai, ventenne terrorista austriaco legato all’Isis, ha aperto il fuoco per le strade di Vienna provocando quattro morti, tutti i media europei si erano affrettati a sottolineare le sue discendenze macedoni.
Nel 2000, infatti, la famiglia di Fejzulai si era trasferita in Austria dal paesino di Cellopek, appena 5mila abitanti a 60 km dalla capitale della Macedonia del Nord Skopje. In totale furono tre gli uomini con doppio passaporto, austriaco e macedone, coinvolti nell’attentato. Sebbene radicalizzatosi in Austria, secondo le indagini Fejzulai apparteneva ai cosiddetti Leoni dei Balcani, un gruppo presente in Germania, Austria e Svizzera con contatti logistici nella regione balcanica.
All’indomani dell’attentato le autorità austriache avevano chiesto alla Macedonia del Nord di collaborare alle indagini sulla rete di Fejzulai.
Anche se non collegate all’attentato di Vienna, le indagini sulla presenza jihadista nel paese hanno portato all’arresto, il 27 dicembre, di otto uomini di età compresa tra i 21 e i 31 anni. Residenti tra Skopje e Kumanovo, gli otto presunti terroristi sono stati accusati di aver creato una cellula terroristica per conto dell’Isis e di pianificare attentati terroristici nel paese.
Durante le perquisizioni la polizia ha ritrovato numerose armi, attrezzature militari, cellulari e documenti relativi alle attività dello Stato Islamico. L’operazione rappresenta il secondo filone di un indagine avviata nei mesi precedenti e che aveva già portato ad altri tre arresti a settembre.
Secondo le autorità, durante la guerra in Siria sono stati circa 150 le persone partite per unirsi allo Stato Islamico, di questi circa 80 hanno già fatto ritorno nel paese mentre una trentina sono morti in combattimento e altrettanti si trovano ancora tra Siria e Iraq.
Nel 2018 la Macedonia del Nord ha adottato due documenti strategici relativi alla lotta al terrorismo internazionale e al processo di reinserimento dei soggetti che sono rientrati dalla Siria.
I documenti, almeno dal punto di vista formale, vengono spesso considerati all’avanguardia nell’identificare una strategia di prevenzione e repressione della radicalizzazione e dell’estremismo, non solo religioso.
La National Counterterrorism Strategy (2018-2022) prevede quattro azioni chiave: prevenire “i flussi di foreign fighters e le cause profonde della radicalizzazione e dell’estremismo”; proteggere “le persone, le loro proprietà, le infrastrutture chiave”; perseguire “le minacce in linea con lo Stato di diritto” e infine rispondere “attivamente e in modo aggressivo alle conseguenze di un attacco terroristico”.
La fase della prevenzione prevede il coinvolgimento di agenzia governative, istituzioni locali e organizzazioni della società civile in progetti rivolti alla popolazione con l’obiettivo di garantire la sicurezza dei cittadini, il dialogo e la pacifica convivenza dei diversi gruppi etnici e la fiducia nei confronti delle istituzioni.
A livello locale la Strategia include misure come la collaborazione tra i servizi di sicurezza e i leader religiosi, il supporto alle comunità per contrastare la radicalizzazione online e la lotta alla disinformazione. Il documento riconosce inoltre che la sottoccupazione contribuisce ad alimentare “la frustrazione delle comunità” e che “il fallimento o la risposta tardiva alle richieste della comunità per la salvaguardia dei diritti dei cittadini, rafforza l’emergere di attività violente e radicali”.
Purtroppo quanto previsto dalla Strategia per prevenire questi fenomeni non sempre ottiene i risultati sperati. Sia nella capitale Skopje che nella città di Kumanovo, coinvolte dagli arresti dei giorni scorsi, erano attivi progetti locali per la prevenzione dell’estremismo violento. Un impegno che però non è bastato a evitare la nascita di una presunta cellula terroristica.
Per la Macedonia del Nord il 2020 è stato un anno particolarmente ricco di novità. A gennaio, dopo il veto di pochi mesi prima di Francia, Olanda e Danimarca all’avvio delle negoziazioni per l’adesione all’Unione Europea, il primo ministro socialdemocratico Zoran Zaev aveva rassegnato le dimissioni. Tra marzo e aprile il paese ha ottenuto un doppio risultato: il via libera alle negoziazioni con l’Ue e l’adesione alla Nato.
Alle elezioni di luglio Zaev ha riconquistato la maggioranza parlamentare grazie al sostegno dei partiti della minoranza albanese confermandosi come il più importante alleato dell’Unione Europea nel paese.
La lotta al terrorismo e alla radicalizzazione si inserisce quindi in un contesto internazionale più ampio che vede coinvolti anche i partner europei e dell’Alleanza Euro-Atlantica. Nena News