La strategia israelo-statunitense di allargamento delle alleanze a favore di Tel Aviv sta riguardando anche la regione europea. Che oscilla tra il timore di perdere gli aiuti Usa e la posizione ufficiale della Ue

Il presidente serbo Vucic, lo statunitense Trump e il premier kosovaro Hoti, lo scorso 4 settembre a Washington (License Creative Commons)
di Marco Siragusa
Roma, 12 ottobre 2020, Nena News – Il 4 settembre, a Washington, il presidente serbo Aleksandar Vučić e il primo ministro kosovaro Avdullah Hoti hanno firmato un accordo di normalizzazione delle relazioni economiche che prevede, tra le altre cose, lo spostamento dell’ambasciata serba da Tel Aviv a Gerusalemme entro luglio 2021 e il reciproco riconoscimento tra Kosovo e Israele.
La vicenda ha suscitato significative e contrastanti reazioni. Se da un lato il presidente Donald Trump ha parlato di “accordo storico”, l’Unione Europea, pur riconoscendo la necessità di normalizzare i rapporti economici tra Belgrado e Pristina, ha subito sottolineato la sua contrarietà allo spostamento dell’ambasciata serba a Gerusalemme.
Funzionari dell’Ue hanno parlato di “seria preoccupazione” per la decisione, sottolineando come questa vada in contrasto con la posizione ufficiale dell’Ue, contraria a riconoscere Gerusalemme capitale di Israele.
L’allineamento alla politica estera dell’Unione rientra tra le condizioni che la Serbia deve rispettare in quanto paese candidato all’adesione. La decisione sembra quindi non definitiva e passibile di ripensamenti.
L’Ue non è stata l’unica a storcere il naso su questi punti dell’accordo. Dall’altro lato, la Turchia ha fortemente criticato sia Belgrado che Pristina. Tramite un comunicato, il ministero degli Esteri turco ha parlato di “passo deludente in chiara violazione del diritto internazionale”.
Serbia e Kosovo non sono stati gli unici due paesi della regione a dover affrontare, nelle ultime settimane, la questione delle relazioni con Israele. Appena tre giorni dopo la firma dell’accordo di Washington, il 7 settembre il ministro degli esteri croato Gordan Grlić Radman ha incontrato a Tel Aviv il suo omologo israeliano Gabi Ashkenazi che ha ribadito la richiesta di spostamento dell’ambasciata croata.
Anche se la Croazia è stata tra i 35 paesi che si sono astenuti all’Onu sul voto riguardante lo status di Gerusalemme nel dicembre 2017, in contrasto con il voto contrario degli altri Stati europei, è difficile che Zagabria accetterà di spostare l’ambasciata. Una scelta che andrebbe in contrasto con la linea ufficiale europea.
Anche in Bosnia-Erzegovina il tema è stato ampiamente dibattuto e, come prevedibile, ha provocato frizioni e distanze tra le tre componenti etniche (croati, serbi e bosgnacchi). Uno stallo che aveva portato, come la Croazia, all’astensione nel voto all’Onu.
La proposta di spostare l’ambasciata è arrivata, nonostante le sue note posizioni apertamente contro la Nato, dal membro serbo della presidenza tripartita, Milorad Dodik. Una presa di posizione non nuova (l’aveva sostenuta già nel 2017) che viene giustificata con la necessità di tutelare gli interessi americani. Tradotto: non perdere i contributi economici degli Usa, fondamentali per la sopravvivenza del paese.
Il sostegno di Dodik alla linea del presidente serbo Vucic ha dovuto però fare i conti con l’opposizione degli altri due membri della presidenza tripartita che il 17 settembre ha bocciato la proposta con il voto contrario del membro bosgnacco Sefik Džaferović, più vicino alla causa palestinese, e del croato Željko Komšić che ha parlato di iniziativa “ipocrita se non addirittura ridicola”.
Particolarmente significativo anche il netto rifiuto espresso dal premier albanese Edi Rama alla richiesta diretta, giunta tramite lettera, del presidente Trump. Dopo il veto francese dell’ottobre scorso, l’Albania ha ricevuto a marzo il via libera per l’avvio delle negoziazioni per l’adesione all’Ue. Proprio per questo motivo Rama non ha nessuna intenzione di non rispettare le linee imposte dall’Unione in politica estera. L’Albania, insieme alla Macedonia del Nord, è stato uno dei 32 paesi che ha inviato propri rappresentanti all’inaugurazione dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme nel maggio 2018. Nonostante ciò, Rama non vuole far indispettire gli alleati europei proprio alla vigilia della prima Conferenza Intergovernativa prevista per il prossimo dicembre.
Al momento, quindi, molti paesi della regione si mostrano ancora restii a spostare le loro ambasciate a Gerusalemme. Anche la Serbia, che riceverà sempre più pressioni per allineare la propria politica estera a quella dell’Unione, potrebbe non dare seguito a quanto sottoscritto a Washington. Al momento il pressing statunitense, almeno su questo aspetto, ha ottenuto risultati scadenti ricevendo più rifiuti che sostegno. Nena News