Da più di un milione, oggi la popolazione cristiana in Iraq arriva appena a 300 mila anime. Isis e sostegno straniero le cause di un eccidio silenzioso
di Federica Iezzi
Baghdad, 6 agosto 2015, Nena News - Le perplessità dei cristiani da Mosul a Qaraqosh sono le stesse. Quale sarà il nostro futuro qui? Come possiamo convincere i nostri giovani a rimanere nel loro Paese? Come possiamo ricostruire le nostre case? Come possiamo avere indietro il nostro lavoro? Da più di un milione, oggi la popolazione cristiana in Iraq arriva appena a 300 mila anime.
“I jihadisti dello Stato Islamico, i sunniti più estremisti, agli ordini di al-Baghdadi possono essere fermati oggi solo da una reazione dei sunniti moderati, in Medio Oriente” ci dice un sacerdote secolare siro-cattolico dell’arcieparchia di Hassaké-Nisibi.
Lo Stato Islamico autonominato non è nato nel vuoto. Si è nutrito di città sunnite una dopo l’altra, del sostegno delle popolazioni sunnite che subirono brutali rappresaglie settarie dal governo di al-Maliki, appoggiato dagli Stati Uniti. La storia dell’Iraq non è legata all’ISIS, ma è quella di una guerra faziosa eternamente in corso tra musulmani sunniti e sciiti.
Quando i combattenti dell’ISIS presero il controllo di aree sunnite nell’Iraq occidentale un anno fa, incoraggiarono violenza e rabbia contro il governo sciita di Baghdad, al potere dal 2003. Per i sunniti e l’ISIS, il governo di Baghdad è stato un nemico comune. Si creò un matrimonio di necessità. Oggi attriti e crepe si rincorrono nel rapporto ISIS-sunniti per le pesanti richieste di fedeltà del Califfato nero e l’assillante esigenza di attuare la shari’a.
La dottrina fondamentalista sunnita è complice dunque nell’eccidio dei cristiani in Iraq. Terreno fertile coltivato poi dalla legge dell’ISIS. Non sono consentiti simboli cristiani. Introdotta la “tassa religiosa”, obbligatoria ai non musulmani. Le case dei cristiani a Mosul sono marchiate dalla lettera araba N (nun) che sta per ‘Nasara’ (nazareni). I luoghi di culto oggi sono cenere. Conversione, fuga o morte. E’ questo che potevano scegliere i cristiani nel nord dell’Iraq. “I cristiani in Iraq, per ironia della sorte, si sentivano più sicuri sotto Saddam Hussein” racconta avvilito padre Issah, il sacerdote siro-cattolico.
Quando qualche mese fa Rahel tornò nella casa dove viveva a Tel Tamar, nel nord-est della Siria, trovò davanti la sua terra un cartello che diceva ‘Proprietà dello Stato Islamico’. L’ISIS ha preso il controllo delle città cristiane, a maggioranza curda, nella valle del fiume Khabur, lo scorso giugno. A febbraio centinaia di cristiani sono stati costretti a lasciare i propri villaggi per le violente incursioni del gruppo estremista nelle aree di al-Hasakah e Qamishli. Si sono susseguiti sanguinosi assedi. La gente era affamata, le case bruciate, le chiese profanate e saccheggiate, i figli mutilati e i feriti trascinati lontani dalle granate. I miliziani hanno nascosto mine nelle case, nelle fattorie, nei campi e nelle antiche rovine cattoliche. I risultati sono stati: l’uccisione di più di due dozzine di civili, il sequestro di circa 300 e la fuga di almeno 2.500 persone.
Costretti a lasciare le proprie case e passare anni in campi profughi, i cristiani di Siria e Iraq restano nel mirino dei gruppi jihadisti. Circa 200 mila cristiani iracheni hanno trovato rifugio in Kurdistan. Almeno 138 mila cristiani siriani hanno oggi lo status da rifugiato in Libano e paesi limitrofi.
In città come Aleppo i cristiani imbracciano le armi contro i ribelli dell’Esercito Siriano Libero. In altre, combattono contro i jihadisti dell’ISIS a fianco dei peshmerga curdi ad Arbil in Iraq, o dell’Esercito Nazionale Siriano ad al-Hasakah, in Siria. Comunità decimate e in frantumi in mezzo al lungo conflitto in Siria, e nella terra dello Stato Islamico di Mosul e della piana di Ninive in Iraq.
La maggior parte dei siriani siriaci sostiene il governo di al-Assad. “I ribelli locali, perfidamente spalleggiati dal governo turco, hanno interamente distrutto case e chiese cristiane in villaggi come Kassab, nella provincia di Latakia, Maaloula, a nord-est di Damasco, Homs e non certo come danni collaterali da colpi lanciati contro le forze governative. L’esercito di Damasco ha ripreso il controllo di città cristiane, come prova della determinazione di al-Assad di proteggere le minoranze religiose”, ci dice esaltato Ouseph. E continua “Dall’altra parte non c’è opposizione democratica, solo gruppi estremisti. Nè Daesh nè ribelli sono i nostri vicini islamici con cui abbiamo convissuto serenamente per anni”.
Yacoubieh è un villaggio a maggioranza cristiana nella provincia nord-occidentale di Idlib, sotto il controllo dei miliziani di Jabhat al-Nusra, braccio siriano di al-Qaeda, da quando all’inizio di quest’anno sono state allontanate le forze di regime. “I nostri figli sono senza cibo, acqua e medicine. Non c’è elettricità per 15 ore al giorno”, ci raccontano le voci dei frati francescani, dal convento colpito da un missile solo una settimana fa. Limitati da posti di blocco militari gli ingressi e le uscite ai quartieri. “Annientare chiese e monasteri, rapire ecclesiastici, affamare la popolazione sono solo alcuni dei crimini che i ribelli commettono contro la comunità cristiana di Siria e Iraq”, continuano.
I cristiani hanno camminato per le strade irachene e siriane per più di mille anni. Oggi c’è silenzio. Ogni strada è deserta. Case e beni abbandonati alle depredazioni anti-governative che Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Israele, Arabia Saudita, Qatar, Turchia e i loro alleati sostengono. Nena News
Pingback: Il nuovo Iraq che non ha posto per i cristiani | federicaiezzi
Pingback: SIRIA. Sotto i colpi di mortaio | federicaiezzi