Secondo il premier israeliano “Abbas istiga all’odio nei confronti di Israele”. Ma Netanyahu ha anche molti “nemici” interni. Uno di questi è il suo Ministro dell’Economia con il quale da giorni è gelo totale. Da Gaza, intanto, Hamas invita a catturare più soldati di Tel Aviv. Malgrado il clima di rappresaglia e minaccia, le due parti continuano a “dialogare”.
di Roberto Prinzi
Roma, 16 aprile 2014, Nena News – L’uccisione dell’ufficiale di polizia israeliano Baruch Mizrahi, colpito a morte lunedì da un palestinese, ha avuto due conseguenze immediate: il massiccio dispiegamento di soldati deciso da Tel Aviv nell’area di Hebron (come se non bastasse già l’occupazione quotidiana) e l’attacco duro (ma scontato) del premier israeliano Benyamin Netanyahu all’Autorità Palestinese.
“L’assassinio è il risultato dell’istigazione all’odio nei confronti di Israele da parte dei leader palestinesi” ha tuonato ieri sera il Primo Ministro. Sulla stessa lunghezza d’onda il suo Ministro dell’Economia, l’alleato piantagrane, Naftali Bennett: “l’Autorità Palestinese con Abu Mazen a suo capo incoraggia e finanzia gli omicidi di ebrei da un lato e, con l’altra, estorce a Israele il rilascio dei suoi prigionieri”. Sulla questione sicurezza è poi intervenuto il Ministro della Difesa, Moshe Ya’alon che, nel tentativo di placare gli animi irrequieti del suo elettorato restio a qualunque compromesso con palestinesi, ha promesso: “le forze di sicurezza non si riposeranno finché la persona responsabile dell’attacco, così come coloro che lo hanno progettato, non saranno presi”.
Ma il nemico che deve fronteggiare il Premier Netanyahu non è solo quello “arabo”. La crisi all’interno della sua coalizione governativa si fa sempre più accentuata. Tra il primo Ministro e il Ministro dell’Economia Bennett (“l’uomo dei coloni”) regna il gelo da giorni. Né i due protagonisti si sforzano di nasconderlo. Il motivo è che “Casa Ebraica” (partito di Bennett) non vuole che i colloqui di pace con i palestinesi si estendano al di là della data fissata di fine di aprile. Bennett si oppone, infatti, a qualunque rilascio di “terroristi arabi” [i prigionieri palestinesi cittadini israeliani, ndr]”.Questi, poco più di una decina, fanno parte dell’ultimo gruppo di combattenti che Israele avrebbe dovuto liberare in base agli accordi presi prima che incominciassero i “colloqui di pace” a luglio. L’ala “moderata” del governo guidata da Netanyahu, invece, propende per la continuazione delle trattative con Ramallah (ovviamente senza cedere su nessun punto nevralgico del conflitto israelo-palestinese) al “costo” della liberazione di qualche altra decine di prigionieri.
La crisi Bennett e Netanyahu per ora resta congelata. Il mondo ebraico festeggia da lunedì il periodo pasquale e i due leader preferiscono godersi le vacanze. Di sicuro la possibile rottura tra i due leader, con l’abbandono della coalizione governativa da parte di Casa Ebraica (sventolata pochi giorni fa da Bennett), potrebbe ravvivare la scena politica israeliana imbalsamata da tempo. Se la sinistra di Meretz è inesistente e incoerente (alle municipali di Gerusalemme ha sostenuto la destra in chiave anti-ultraortodossa), se i partiti “arabi” o “misti” lottano tra di loro invece di unire le forze (gli strali polemici delle elezioni di Nazareth lo dimostrano), se il “centro” è in realtà destra ed è parte del governo, e l’estrema destra xenofoba e fascista ha in tasca le chiavi della Knesset [parlamento israeliano, ndr] per molto tempo, la rottura definitiva di “Casa Ebraica” con l’ala “moderata” del Likud potrebbe creare nuove alleanze all’interno del governo.
Se ciò si dovesse verificare sarà interessante capire come si comporteranno le forze laiche di “centro” rappresentate dallo storico partito laburista e dal neo Yesh Atid dell’ex giornalista Lapid. Ovviamente nessuno si illuda. Qualunque sarà il giro di danze di partiti e di politici, niente cambierà per i palestinesi del ’48 (quelli con cittadinanza d’Israele), né per quelli dei Territori Occupati (Striscia di Gaza e Cisgiordania) e della diaspora.
Netanyahu, intanto, farebbe bene a stare molto attento anche ai falchi all’interno del suo partito (il Likud) che da tempo spingono per una leadership più intransigente nei confronti dei palestinesi. Indubbiamente periodo difficile per Bibi. Non bastavano le polemiche delle presunte vessazioni della moglie Sara ai precedenti collaboratori di Netanyahu. Ora ad alzare la voce è anche il Ministro degli Esteri Lieberman leader di un partito (Yisrael Beitenu) unito con il Likud del Primo Ministro. Qualche giorno fa il Ministro, noto per le sue dichiarazioni fasciste e xenofobe ma ora descritto come “moderato” da molti commentatori locali e internazionali, ha dichiarato in modo profetico che “il prossimo premier parlerà russo”. Essendo di madrelingua russa, non è difficile comprendere a chi si riferiva.
In un clima di caccia all’assassino dell’ufficiale di polizia israeliano Mizrachi, ad esacerbare i toni ci ha pensato poi il Capo di Stato Maggiore dell’esercito israeliano, Benny Gantz. Intervistato dai principali canali locali, Gantz ha detto placidamente che “noi [Israele, ndr] possiamo aspettarci ulteriori scontri nella Striscia di Gaza. Ci stiamo preparando a passare da una vita di routine ad uno stato di emergenza. Crediamo che dobbiamo rispondere a queste minacce”. E queste dichiarazioni cadono, non lo si dimentichi mai, in un “clima di pace”.
Ma se Tel Aviv urla Hamas non ci sta e mostra i muscoli. Intervenendo ieri in una conferenza stampa a Gaza che aveva al centro il tema dei prigionieri palestinesi, il premier Ismail Haniyeh ha detto che “rapire soldati israeliani è tra le priorità dell’agenda politica di Hamas e della resistenza palestinese”. Haniyeh ha poi spiegato che, finché nelle carceri israeliane ci saranno prigionieri palestinesi, il miglior metodo per liberarli è catturare altri militari di Tel Aviv”. Sullo stato delle trattative di pace, il leader di Hamas ha espresso un giudizio chiaro: “le trattative con l’Occupazione [Israele, ndr] sono fallite. Questo è un dato di fatto”.
In questo clima di rappresaglia e di minacce, in barba a qualunque logica e senso della dignità, Ramallah e Tel Aviv si incontrano nuovamente oggi per parlare di “pace”. A confermarlo è stato ieri il Dipartimento di Stato statunitense tramite la sua portavoce Jen Psaki. “Le due parti stanno capendo se c’è la possibilità di prolungare gli incontri per alcuni mesi dopo la data di aprile”. Ma l’Autorità Palestinese non era stata chiara per mesi che non sarebbe andata oltre il 29 aprile? E Israele non aveva ribadito che il conseguimento della pace potrà avvenire solo se i palestinesi riconosceranno l’ebraicità d’Israele, condizione che finanche i lacché dell’Autorità Palestinese rifiutano categoricamente? No, non c’è incoerenza, non bisogna stupirsi. Sono le conseguenze degli accordi di Oslo. E ai palestinesi, quelli senza vestiti gessati, non resta che piangere. Nena News