Ieri il vice primo ministro turco Kurtulmus ha annunciato una serie di sanzioni contro l’alleato olandese dopo che l’Aia nei giorni scorsi non ha permesso a due ministri di Ankara di partecipare ai comizi a favore del sì referendario del 16 aprile. Erdogan, intanto, attacca Merkel: “Vergognati, sostieni i terroristi”
di Roberto Prinzi
Roma, 14 marzo 2017, Nena News – È ormai ufficiale la guerra diplomatica tra Olanda e Turchia. Ieri, infatti, Ankara ha annunciato una serie di sanzioni contro l’Aia rea di non aver permesso i comizi di due ministri turchi a favore del sì al referendum costituzionale del 16 aprile. Tra le misure annunciate ci sono per ora lo stop alle relazioni ad alto livello con gli olandesi e la chiusura dello spazio aereo turco per i diplomatici olandesi. Questi dispositivi, ha detto il vice primo ministro Numan Kurtulmus, saranno in vigore finché i Paesi Bassi non “rimedieranno” alle azioni di questi giorni che Ankara considera un grave insulto. “C’è una crisi ed è profonda – ha detto laconicamente Kurtulmus – non siamo stati noi ad averla creata né l’abbiamo portata noi a questi livelli”. Ankara ha comunicato le nuove disposizioni convocando per la terza volta in pochi giorni il funzionario olandese, Daan Feddo Huisinga. A Huising sono state consegnate due note formali di protesta.
Nella prima il governo turco ha denunciato il trattamento subito dalla ministra degli Affari di famiglia Fatma Betul Sayan Kaya. Nella seconda, invece, Ankara ha condannato il modo in cui sono stati trattati i suoi connazionali radunati sabato sera fuori il consolato turco a Rotterdam. Contro di loro, ha accusato il governo, sarebbe stata usata una “forza sproporzionata” nonostante fossero lì ad usufruire del “loro diritto di radunarsi pacificamente”. Kurtulmus ha poi spiegato che le sanzioni resteranno in vigore finché il governo olandese non chiederà scusa per le misure intraprese e punirà chi “ha maltrattato” i suoi connazionali. Il quotidiano turco Hurriyet, citando fonti diplomatiche, oggi scrive che la Turchia denuncerà a breve l’Olanda alle Nazioni Unite, all’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) e al Consiglio d’Europa (CoE) perché con i suoi divieti avrebbe violato la Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961.
A contribuire al clima generale di tensione sono stati però anche i divieti anti-Ankara presentati nei giorni precedenti da Austria e Germania. Una contrapposizione che quanto più animata e chiassosa diventa, tanto più fa i giochi del presidente turco Erdogan. Il tentativo di quest’ultimo è chiaro: conscio della grandezza delle comunità turche in questi tre Paesi (solo in Olanda ci sono circa 400.000 turchi), il “sultano” sa che la costruzione di un presunto “nemico” europeo può portare acqua al suo mulino magari spingendo gli immigrati turchi indecisi residenti all’estero a votare sì agli emendamenti costituzionali che gli garantiscono di fatto un potere assoluto nel Paese.
Erdogan è fin troppo furbo per non capire che il “no” di tre stati europei agisce ancora di più a suo favore che eventuali comizi tenuti in qualche piazza europea. Il presidente gioca in queste ore la carta dell’ostilità europea nei confronti del “popolo turco” per ricompattare le file del suo partito (non così compatto come pare) e per convincere i tanti indecisi in Turchia a votare per lui fra poco più di un mese. E se il gioco si fa duro, Erdogan non è secondo a nessuno. Ecco perché ha fatto sapere ieri che i due ministri a cui è stato negato l’ingresso – Cavusoglu e la ministra Betul Sayan Kaya – chiederanno alla corte dei diritti umani europei di valutare il trattamento che hanno ricevuto aggiungendo però, amplificando così la sindrome vittimistica del “loro sono contro di noi”, che non si aspetta nulla di buono da questo organismo.
Non pago, ha poi attaccato duramente la cancelleria tedesca Angela Merkel che in queste ore di crisi ha espresso agli olandesi “pieno sostegno e solidarietà” per le offese di nazismo (“completamente inaccettabili”) rivolte dai turchi nei loro confronti. Merkel aveva inoltre invitato gli stati membri della Nato (tra cui appunto anche Germania, Olanda e Turchia) a rispettarsi l’un l’altro e aveva chiesto ad Ankara di moderare i toni. Dichiarazioni che hanno fatto infuriare Erdogan il quale, intervistato ieri dalla tv Haber, ha invitato la cancelliera a vergognarsi per quanto ha detto soprattutto alla luce del suo “appoggio ai terroristi [del Pkk] che combattono la Turchia” e per il suo sostegno al “no” al referendum costituzionale turco.
Secondo il presidente, le azioni e le parole di Berlino rispondono ad una logica ben precisa: impedire che emerga una Turchia forte. Un problema, secondo lui, molto diffuso in Europa: “alcuni stati europei – non li mettiamo tutti insieme – purtroppo non riescono ad accettare la nostra crescita. La Germania in primis. Proprio lei che sostiene il terrorismo”. Erdogan, il populista, è entrato a gamba tesa nelle politiche interne europee e ha poi invitato i suoi connazionali che vivono nel Vecchio Continente a non votare non meglio precisati partiti che sono “nemici della Turchia”.
Nella crisi diplomatica in corso provano a fare a rivestire i panni di pompiere la Nato e l’Unione Europea (Ue). La prima, con il suo segretario generale Stoltenberg, ha chiesto a tutti i paesi alleati a “mostrare rispetto reciproco, a restare calmi e ad avere un approccio misurato”. La portavoce dell’Ue, Margaritis Schinas, ha invece esortato la Turchia “ad astenersi da dichiarazioni e azioni eccessive che rischiano di aggravare la situazione”. Parole contenute e ponderate quelle dell’organismo europeo che, sebbene da un lato sia profondamente infastidito dai ripetuti atteggiamenti riottosi erdoganiani, sa bene che Ankara rappresenta una diga fondamentale per non far entrare altri indesiderabili immigrati sul suo suolo. Un tentativo equilibrista in realtà mal riuscito al punto che ieri Omer Celik, il ministro turco per gli Affari con l’Unione Europea, ha già ventilato l’ipotesi di una riconsiderazione dell’accordo sugli immigrati siglato lo scorso anno paventando la possibilità di ammorbidire i controlli sulle persone che raggiungono l’Europa a piedi da Grecia e Bulgaria. Parole che al momento sono (e crediamo resteranno) solo minacce, ma che mandano a Bruxelles un segnale inequivocabile e univoco: se guerra volete, noi vi sommergiamo di disperati aprendo il rubinetto dei confini.
Di fronte all’atteggiamento turco da bullo da quartiere, l’alleato olandese della Nato è apparso alquanto debole. Eppure il conservatore Mark Rutte sa perfettamente che non può essere offeso senza contrattare: domani, infatti, si vota e il suo Pvv è seriamente incalzato dal partito di estrema destra e islamofobo di Geert Wilders che in questi giorni ha celebrato come una sua “vittoria” personale il divieto d’ingresso ai due ministri turchi. Ma il Pvv, che in campagna elettorale ha cercato in parte di imitare i toni di Wilders nel tentativo di rubargli parte dei voti (è anche in questo contesto che va letto il no ai turchi), si è limitato a pubblicare un avviso in cui si invitano i cittadini olandesi “a stare attenti e a evitare raduni e posti affollati in Turchia”. Da parte sua, invece, Wilders non ha deluso le aspettative e ha preferito esasperare la crisi diplomatica in corso chiedendo l’espulsione dell’ambasciatore turco in Olanda.
Ieri, intanto, un duro attacco contro il progetto referendario di Erdogan è giunto da un rapporto stilato dalla Commissione del Consiglio Europeo. Secondo il team di esperti legali, infatti, la Turchia rischia di compiere un “pericoloso passo all’indietro” nel suo processo democratico se passa il sì al referendum il prossimo mese. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir