L’Unione Europea non parteciperà alle celebrazioni, anche se al suo interno la premier rumena si dice favorevole alla mossa statunitense. Sostegno anche da Guatemala e Paraguay. I palestinesi annunciano proteste. Israele, intanto, dà 2 settimane di tempo al direttore di Human Rights Watch per lasciare il Paese
della redazione
Roma, 9 maggio 2018, Nena News – Dopo l’annuncio di ieri del presidente americano Donald Trump sul nucleare iraniano, è ormai tutto pronto per il prossimo regalo dell’amministrazione statunitense all’alleato israeliano: il concreto trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme promesso lo scorso 6 dicembre. Non è ancora chiaro al momento se alla cerimonia d’inaugurazione della nuova sede diplomatica prevista per il 14 maggio sarà presente Trump (secondo alcune fonti potrebbe fare una sorpresa all’ultimo momento al premier israeliano Netanyahu), ma poco importa perché resta l’elemento politico. Stando alle indiscrezioni della stampa, in una prima fase l’ambasciata Usa si trasferirà solo in minima parte a Gerusalemme: l’ambasciatore americano David Friedman (noto per le sue vicinanze con il movimento dei coloni) disporrà solo di alcuni locali nel consolato statunitense di Arnona, manco a dirlo nella zona occupata di Gerusalemme est.
I preparativi del “grande evento” (che coincide con il 70esimo anniversario della fondazione dello Stato d’Israele, la Nakba – “Catastrofe” – per i palestinesi) proseguono spediti: alla cerimonia saranno presenti centinaia di rappresentanti americani tra cui spiccano i nomi del Segretario al tesoro Steven Mnuchin, della figlia di Trump Ivanka e di suo marito nonché inviato Usa per il Medio Oriente Jared Kushner. Sul lato israeliano, invece, sarà presente quasi l’intero spettro politico (a testimonianza di quanto siano irrisorie, soprattutto quando si parla dei palestinesi, le differenze politiche tra il governo e la presunta “opposizione” israeliana). Mancheranno all’appello solo i parlamentari della Lista araba Unita (che raccoglie i 4 principali partiti arabi), come sempre unica voce fuori dal coro nel panorama istituzionale locale.
Alla festa organizzata da Israele, i palestinesi risponderanno protestando. Per lunedì, infatti, sono annunciate manifestazioni popolari in tutta la Cisgiordania e Gerusalemme est. Il segretario generale dell’Olp, Sa’eb Erakat, ha chiesto ai diplomatici dei vari Paesi della comunità internazionale di rispettare il diritto internazionale non presenziando alla cerimonia del trasferimento dell’ambasciata. Ma il suo appello non è condiviso da tutti: se l’Unione europea non ci sarà, è pur vero che al suo interno c’è chi sostiene apertamente la mossa americana. Netanyahu parla di una dozzina di paesi pronti a lasciare Tel Aviv per Gerusalemme. Tra questi vi sono la Romania guidata dalla premier Viorica Dancila (di tutt’altro avviso è però il suo capo di stato Iohannis), il Guatemala (il paese centroamericano ha già annunciato che sposterà nella Città Santa la sua sede diplomatica entro la fine di maggio) e, recentemente, il Paraguay. Il ministro degli esteri di Asuncion, Eladio Loizaga, ha infatti confermato che sono state intraprese già delle iniziative per trasferire l’ambasciata paraguayana a Gerusalemme. Qui, tra il 21 o il 22 maggio, potrebbe assistere all’inaugurazione della nuova sede diplomatica persino il presidente paraguayano Cartes. E silenzio per ora giunge anche dai paesi arabi. Colpisce soprattutto quello giordano che, scrive la stampa israeliana, deriverebbe dall’assicurazione americana che la Giordania continuerà ad essere la “custode” della Spianata delle moschee.
Ma se proteste sono previste a Gerusalemme e in Cisgiordania, non resteranno con le mani in mano i palestinesi della Striscia. Lunedì a Gaza migliaia di persone dovrebbero scendere in piazza per manifestare contro Washington. Alta tensione ci sarà soprattutto nella fascia orientale a ridosso con il confine con Israele dove il 15 maggio sono attese migliaia di manifestanti della “Grande marcia del Ritorno” per ricordare il 70esimo anniversario della Nakba palestinese.
I preparativi per le celebrazioni israeliane proseguono nelle ore in cui le autorità dello stato ebraico hanno revocato il permesso di lavoro al direttore della ong Human Right Watch per Israele e Palestina Omar Shakir per il suo (presunto) sostegno alla campagna internazionale per il boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni contro Israele (Bds). Shakir ha due settimane di tempo per lasciare lo stato ebraico. Nena News