La vittima si chiamava Fadwa Ahmad Imteir e aveva 50 anni. Secondo la portavoce della polizia, le guardie di frontiera hanno sparato solo dopo aver percepito una “minaccia tangibile”. Blitz dell’esercito in Cisgiordania: 18 palestinesi arrestati. Domenica un tribunale israeliano ha stabilito che la comunità beduina di Umm al-Hiran è “illegale”
della redazione
Roma, 8 marzo 2016, Nena News – I poliziotti israeliani hanno ucciso stamane una donna che avrebbe tentato di accoltellare alcuni ufficiali israeliani nella Città Vecchia di Gerusalemme. La vittima, Fadwa Ahmad Imteir, aveva 50 anni e proveniva dal quartiere Um Tuba, nella parte orientale di Gerusalemme.
Un testimone oculare ha riferito all’agenzia palestinese Ma’an che gli agenti israeliani avrebbero sparato alla donna varie volte lasciandola morire dissanguata. Diversa è la versione fornita da Tel Aviv. La portavoce della polizia dello stato ebraico, Luba as-Samri, ha detto che gli ufficiali hanno “immediatamente neutralizzato” Imteir una volta che hanno percepito una “minaccia tangibile”. Nessun israeliano è rimasto ferito nel corso del presunto attacco compiuto dalla donna.
Secondo fonti palestinesi, un ingente numero di poliziotti israeliani sta pattugliando ora la Città Vecchia e sono stati chiusi tutti gli accessi alla moschea di al-Aqsa. Sono più di 180 i palestinesi uccisi da Israele dallo scorso ottobre in seguito ad attacchi contro militari e civili israeliani (in alcuni casi, tuttavia, l’effettiva pericolosità degli aggressori è stata piuttosto dubbia). Ventotto, invece, le vittime israeliane.
Prosegue, intanto, la campagna di arresti compiuta dall’esercito tra Gerusalemme e la Cisgiordania. Stanotte, in alcuni raid compiuti dai militari tra Gerusalemme, Ramallah, Betlemme, Qalqilya, Nablus e nell’area di Hebron, sono sono finiti in manette 18 palestinesi per “sospetta attività illegale”. Tra questi, anche il dodicenne Awni Ahmad Taqatqa e il sedicenne Mahmoud Abdullah Taqatqa. I nuovi nomi si vanno ad aggiungere alla lista di oltre 7.000 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Secondo Ad-Dameer, l’associazione palestinese che si occupa dei diritti dei prigionieri palestinesi, 406 di loro sono bambini mentre 700 sono in detenzione amministrativa (arresto senza processo).
Stamattina, intanto, le forze armate israeliane hanno demolito a Hebron l’appartamento della famiglia Skafi. Ibrahim Skafi è stato ucciso dalle forze armate israeliane lo scorso 4 novembre dopo aver investito con la sua macchina il poliziotto israeliano Benjamin Yaakovich (morto poi per le ferite riportate). La pratica di Tel Aviv di distruggere le case di coloro che compiono attentati contro israeliani (o sono sospettati di averlo fatto) è considerata illegale secondo il diritto internazionale che parla a tal proposito di “punizione collettiva”. Secondo la ong Human Rights Watch, il governo israeliano aveva fermato le demolizioni punitive nel 2005 in seguito ad un report della polizia che sottolineava come tali disposizioni non costituissero un valido deterrente per fermare gli attentati. Se si esclude una sola demolizione nel 2009, la pratica è stata ripresa nel 2014 dal governo Netanyahu che lo scorso ottobre ha proposto di abbreviare l’inter burocratico per distruggere le case degli attentatori palestinesi (“terroristi” per Israele).
Ma se il governo agisce è perché spesso l’apparato giudiziario dello stato ebraico gli fornisce una copertura legale. Domenica, infatti, una corte israeliana ha stabilito che la comunità beduina di Umm al-Hiran (700 persone circa) nel Neghev/Naqab nel sud d’Israele è “illegale” poiché – si legge nella sentenza – si trova sulla “terra dello stato” (israeliano). Raggiunto dal quotidiano Ha’Aretz, il giudice della Corte suprema israeliano Elyakim Rubinstein ha detto che “i residenti non hanno acquisito alcun diritto alla terra e che si sono stabiliti senza autorizzazione”. Nena News
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