Secondo il portavoce dell’Agenzia Onu, la scelta è dettata da “motivi di sicurezza”. Tensioni ieri nei Territori occupati dove l’esercito israeliano ha sparato pallottole vere, di gomma e gas lacrimogeni ferendo più di 160 manifestanti. Sciopero generale dei palestinesi in Israele, Cisgiordania e Gaza per protestare contro la legge dello stato-nazione ebraica
della redazione
Roma, 2 ottobre 2018, Nena News – “Motivi di sicurezza”. Con questa motivazione ieri l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) ha annunciato di aver incominciato a ritirare temporaneamente dalla Striscia di Gaza il suo personale straniero. In una nota il portavoce dell’Unrwa Sami Mshasha ha spiegato che, alla base di questa decisione, c’è “la preoccupante serie di incidenti sulla sicurezza che colpiscono il personale della Striscia”. Tuttavia, si legge nel comunicato, che il direttore dell’Agenzia resterà a Gaza e che l’Unrwa manterrà operative le sue attività. Il portavoce ha poi detto che “stamane [ieri, ndr] parte del personale è stato infastidito e gli è stato impedito di svolgere il suo lavoro”. “Alcune di queste azioni – ha aggiunto – hanno preso di mira specificatamente la gestione dell’Unrwa a Gaza”. La nota non precisa quali siano i “motivi di sicurezza” e quale sia la loro causa, ma non è difficile immaginarlo: l’Agenzia è da tempo duramente criticata per i licenziamenti e per la riduzione dei salari. Ieri una ennesima manifestazione di protesta ha avuto luogo fuori l’hotel di Gaza dove aveva luogo un incontro tra gli esponenti dell’Unrwa.
La notizia dell’inizio del ritiro degli operatori stranieri sarebbe stato confermato all’Afp anche dal ministero della difesa israeliana secondo cui alcuni impiegati dell’Agenzia “sono stati evacuati dalla Striscia di Gaza verso Israele”. Una fonte raggiunta dall’Afp ha detto che sono 6 i membri del personale straniero dell’Unrwa che sono usciti finora dal piccolo lembo di terra palestinese.
Gli impiegati palestinesi dell’Agenzia protestano da quando l’Unrwa ha annunciato lo scorso luglio che avrebbe tagliato più di 250 posti di lavoro tra Gaza e la Cisgiordania. Un dramma per molte famiglie in una terra in cui la disoccupazione è già del 53%. Ma paura e rabbia sono sentimenti condivisi anche da chi ha mantenuto l’impiego: centinaia di impiegati a tempo pieno sono diventati ora part-time. La tensione è alta: il direttore dell’Unrwa a Gaza è arrivato persino ad accusare il sindacato dell’Agenzia di “ammutinamento”. La crisi finanziaria dell’Agenzia Onu ha ripercussioni terribili per la popolazione palestinese: al di là dei servizi fondamentali che fornisce ai rifugiati, solo nella Striscia dà impiego a 13.000 persone. Le difficoltà che sta vivendo l’Unrwa derivano principalmente dalla scelta degli Usa, il suo principale donatore, di ritirare il suo finanziamento di 350 milioni di dollari all’anno. Non sono serviti finora i 118 milioni forniti la scorsa settimana da altri paesi donatori: il deficit resta di 68 milioni di dollari.
Ieri, intanto, secondo quanto riferisce il ministero della Salute di Gaza, l’esercito israeliano ha sparato e ferito almeno 37 palestinesi al confine tra Israele e la Striscia e vicino al mare (93 sono però coloro che hanno riportato complessivamente ferite nella giornata di ieri). La marina israeliana è intervenuta dopo che alcune imbarcazioni palestinesi avevano lasciato il porto di Gaza in direzione d’Israele nel tentativo di violare l’assedio che Israele impone sulla Striscia da 12 anni. La “marcia navale”, organizzata dalla Commissione nazionale per rompere l’assedio, è uno dei modi con cui i gazawi tentano di richiamare l’attenzione sul duro embargo posto da Tel Aviv sul fazzoletto di terra palestinese. Accanto alle iniziative partite da Gaza, vi sono poi quelle europee con le imbarcazioni della Freedom Flotilla bloccate nel corso degli anni in acque internazionali dalle motovedette israeliane.
Ma le proteste nella Striscia sono avvenute pure sulla terraferma. La risposta d’Israele non è stata però diversa: gas lacrimogeni e pallottole sono stati usati per disperdere i manifestanti. Secondo Tel Aviv, sono stati circa 4.000 i manifestanti che si sono scontrati ieri in più punti con l’esercito.
Scontri si sono registrati anche in Cisgiordania ad al-Bireh (Ramallah), Abu Dis, Qalandya e la Porta di Damasco, nella città vecchia di Gerusalemme. Secondo la Mezzaluna palestinese, 77 palestinesi sono stati feriti dai proiettili di gomma e dall’inalazione di gas e fumi. A Ramallah la tensione è salita dopo il funerale di Mohammad Zaghloul Arimawi, morto la scorsa settimana dopo essere stato arrestato. Il suo decesso ha generato molta rabbia in Cisgiordania: la sua famiglia e l’associazione dei prigionieri palestinesi hanno respinto con forza la versione israeliana secondo cui la vittima non sarebbe stata colpita. Al loro giudizio, infatti, il ragazzo è deceduto in seguito al pestaggio subito durante l’arresto.
Ma a Ramallah la tensione è stata alta anche domenica quando scontri tra esercito e manifestanti avevano provocato almeno 8 feriti. Senza dimenticare poi che venerdì a Gaza Israele ha ucciso 7 gazawi e ferito 570 persone (90 con armi da fuoco). Tra le vittime un 12enne e un 14enne colpiti mortalmente dagli spari dei cecchini israeliani.
Ieri, intanto, i palestinesi cittadini d’Israele, quelli della Cisgiordania e di Gaza hanno scioperato contro la legge stato-nazione ebraica, approvata dalla Knesset a luglio. L’iniziativa è stata promossa dalle Forze nazionali e islamiche in Cisgiordania e dall’Alto Comitato arabo per i palestinesi d’Israele e ha avuto un discreto successo: negozi, istituzioni governative, scuole e università, erano chiusi in risposta all’appello allo sciopero. In Israele, la giornata di ieri però è stata anche una occasione per ricordare i 13 palestinesi uccisi dalla polizia israeliana nel 2000 nel corso delle le proteste in sostegno alla Seconda Intifada. La manifestazione principale si è avuta a Jatt (nord d’Israele) dove hanno sfilato 1.500 persone. “Scioperiamo oggi perché questa ferita sta ancora sanguinando” ha commentato Ayman Odeh, il leader della Lista (araba) Unita. Odeh si è poi augurato che la lotta contro il trattamento “da cittadini di seconda classe” dei palestinesi con cittadinanza israeliana possa continuare. Nena News