Al Conservatorio di Gaza i giovani suonano per esercitare i loro diritti: all’educazione, al gioco, all’espressione. Il racconto di Cultura è Libertà, associazione italiana che sostiene il progetto
di Alessandra Mecozzi
Gaza City, 22 ottobre 2018, Nena News – Arrivo a Gaza il 12 agosto, dopo aver passato i tre controlli: quello israeliano, quello dell’Autorità nazionale palestinese e quello di Hamas.
Sono contenta di aver raggiunto questa striscia di terra quasi inaccessibile. Il mare calmo, che evoca un’idea di libertà, ci ricorda invece che questa popolazione è imprigionata: i pescatori hanno il mare, ma non possono pescare, se non a rischio di essere colpiti dai proiettili israeliani. C’è divieto di bagnarsi, per l’inquinamento dovuto al danneggiamento del sistema idrico di riciclo delle acque reflue. Ma i ragazzini ci sguazzano allegramente. Le navi della Flotilla per Gaza, con a bordo aiuti umanitari, sono state sequestrate al largo dai militari israeliani.
Undici anni di assedio e numerosi attacchi militari hanno stremato Gaza: ospedali al collasso, mancanza di materiali per ricostruire le strutture bombardate, esportazioni ridotte al minimo e ora anche i pesanti tagli di Trump (300 milioni di dollari) all’Unrwa, in una terra in cui i profughi sono il 70% della popolazione.
Può dunque sembrare fuori luogo una campagna di raccolta fondi per il Conservatorio musicale Edward Said, a Gaza. Ma, mi dice Sima Khoury, la vice direttrice del Conservatorio nazionale, che ho incontrato a Ramallah: «Il bisogno di musica e di cultura è stato a lungo ignorato. L’attenzione della maggior parte dei donatori locali e internazionali si è concentrata sulle risposte umanitarie all’emergenza o sulla ricostruzione politica ed economica. Ma la musica non è un lusso. I traumi subiti dai giovani a causa delle distruzioni e delle bombe possono essere in parte curati con l’educazione musicale, il gioco, l’apprendimento».
Entrando a Gaza, vado subito a incontrare i destinatari del progetto di Cultura è Libertà: «Musica per i bambini/e contro la distruzione: borse di studio e sostegno al Conservatorio Edward Said». Ne usufruiranno ragazzini e ragazzine le cui famiglie non possono pagare mille shekel all’anno (230 euro) e contribuiranno alla sopravvivenza del Conservatorio che per ognuno spende 4.500 shekel (mille euro).
Già Sima aveva parlato dell’amore per la musica che c’è a Gaza. A volte le famiglie pensano che questo studio potrà dare a figlie e figli una possibilità di recarsi all’estero e trovare un lavoro. Ma la musica tra i giovani, il 70% della popolazione, significa in primo luogo possibilità di esprimersi e comunicare in una terra da cui è possibile raramente uscire, spesso solo per curarsi. Questa terra, certo povera e infelice, ma ricca di voglia di vivere e di farsi sentire dal mondo.
Il Conservatorio di Gaza sorprende: per la cura con cui è tenuto, per la quantità di bambini e bambine che lo frequentano, per la passione degli insegnanti, come Alina, russa, insegnante di violino. E poi per la scelta di dedicare gli spazi non solo alle lezioni di musica, chitarra, piano, strumenti ad archi, ma anche alle attività di gioco, lettura, cartoni animati.
Il giovane direttore, Ismail Daoud, figlio di musicisti, è lui stesso affermato suonatore di oud (liuto arabo). È felice del nostro progetto. La passione di Ismail per la musica percorre i suoi racconti nella visita che facciamo al Conservatorio, dove attualmente ci sono 200 bambini/e. Inoltre alcune decine seguono i programmi esterni, dove viene individuato chi ha maggior talento e potrà usufruire della borsa di studio per frequentare il Conservatorio.
«Per continuare abbiamo sempre bisogno di aiuti, per fortuna di recente il governo norvegese ha contribuito con suoi fondi. Cerchiamo di realizzare scambi con altri paesi e ospitiamo insegnanti di musica volontari, per brevi periodi: da cinque a 15 giorni. Siamo in contatto con il Centro italiano di scambi culturali Vik e lavoriamo anche con la Scuola di musica Al Kamandjati (la raccolta fondi sosterrà le attività dei bambini nel Festival 2019 ndr). Abbiamo un piccolo laboratorio di riparazione degli strumenti musicali dove ripareremo, ci vorrà molto lavoro, anche i tre violoncelli che abbiamo ricevuto da voi».
I tre strumenti (regalatici da un liutaio francese) li avevamo portati a Gaza tre anni fa, in vista della creazione del laboratorio di Al Kamandjati «Liutai a Gaza», che non ha però potuto realizzarsi per il perdurante divieto dell’autorità israeliana di far entrare gli insegnanti da Ramallah. I soldi raccolti allora hanno così contribuito al Festival di Al Kamandjati a Gaza, nel 2017 e nel 2018.
«Anche noi – prosegue Ismail – organizziamo un festival, in ottobre e novembre: il Sea and Freedom Festival. Nato nel 2015, presenta ogni anno in diverse città artisti locali e ospiti che si esibiscono soprattutto in generi musicali arabi. Il festival contribuisce a dare la possibilità ai palestinesi di Gaza, specialmente ai giovani, di partecipare alla vita culturale e alla produzione artistica, un loro diritto, come dice la Carta dei diritti umani delle Nazioni unite».
Ricordo che all’inizio del governo di Hamas, molte erano le restrizioni e i divieti nei confronti di spettacoli e musica. «Adesso non più, non abbiamo problemi. Abbiamo sempre i permessi per spettacoli e feste, con qualche limite: tener separati maschi e femmine, non far cantare in pubblico ragazze da una certa età in poi. Ma come vedete cantano tutte e i gruppi sono misti».
Tre giorni dopo vado alla bella festa, lo spettacolo di fine anno scolastico, partecipata da una quantità di bambini/e e ragazzi/e. Insieme, ballano, suonano e una ragazza con una bellissima voce si esibisce anche in un assolo.
Penso con tristezza che il giorno in cui sono arrivata ho visto le macerie del teatro El Meshal, bombardato e distrutto da Israele solo alcuni giorni prima, come il Villaggio degli artisti. L’attacco alla cultura è uno degli strumenti di «guerra» di Israele, con cui intende distruggere socialità e identità, mentre viola costantemente anche il diritto umano alla cultura. Ma ho anche visto che gli indomabili ragazzi di Gaza, il giorno dopo il bombardamento, hanno tenuto un concerto sulle macerie, sopra le quali hanno scritto «Free Palestine».
Lunga vita perciò al Conservatorio Edward Said. Diamogli una mano. Per contribuire alla copertura delle borse di studio, potete partecipare al crowdfunding su https://buonacausa.org/cause/