Sei autobus con a bordo 650 palestinesi che dovevano lasciare Gaza per ragioni umanitarie sono bloccati sul confine e non è chiaro se le autorità egiziane li faranno passare. Intanto si aggrava la situazione umanitaria nella Striscia
della redazione
Roma, 22 febbraio 2018, Nena News – All’improvviso, senza fornire spiegazioni, oggi le autorità egiziane hanno chiuso il valico di Rafah tra il Sinai e la Striscia di Gaza dopo che avevano assicurato che il transito, tornato operativo soltanto ieri, sarebbe rimasto aperto quattro giorni. Fonti di Gaza riferiscono che il valico – l’unica porta sul mondo arabo per gli oltre due milioni di palestinesi che vivono nella Striscia – è chiuso su entrambe le direzioni. Sei autobus con a bordo 650 palestinesi che dovevano lasciare Gaza per ragioni umanitarie sono bloccati sul confine e non è chiaro se le autorità egiziane li faranno passare. Altre centinaia di palestinesi sono bloccati sull’altro versante del confine, in attesa di poter tornare a casa.
Da quando è al potere Abdel Fattah al Sisi, l’Egitto ha aperto solo occasionalmente il valico di Rafah, per un numero di giorni insufficiente a coprire le necessità della popolazione di Gaza. Il miglioramento lo scorso autunno delle relazioni con Hamas seguito agli accordi di riconciliazione tra il movimento islamista e il partito Fatah del presidente palestinese Abu Mazen, aveva visto il Cairo assumere un atteggiamento più flessibile sulla gestione del transito. Il mancato progresso delle intese tra le due fazioni palestinesi, ha spinto l’Egitto a tornare alla linea intransigente che sta penalizzando due milioni di civili palestinesi che, peraltro, solo solo dietro l’ottenimento – molto difficile – di un permesso israeliano possono lasciare Gaza attraverso il transito settentrionale di Erez.
La decisione egiziana di chiudere oggi il terminal di Rafah giunge in un clima di costante peggioramento della situazione umanitaria nella Striscia di Gaza dove, per la ridotta erogazione dell’energia elettrica (non più di 4 ore al giorno), molti servizi essenziali sono ridotti al minimo, a cominciare da quelli ospedalieri. A inizio settimana i municipi di Gaza hanno proclamato lo stato di emergenza in conseguenza della grave crisi finanziaria in cui versano. Le amministrazioni locali sono state costrette a dimezzare tutti i loro servizi fra cui la nettezza urbana e la gestione del sistema fognario e a vietare, per il forte inquinamento, i bagni in mare in tutto il litorale della Striscia e la pesca dai moli sulla costa. L’erogazione dell’acqua nelle case – che finora avveniva in media per due ore al giorno, il tempo necessario per riempire i serbatoi sui tetti – è stata limitata ad un’ora appena al giorno. I rappresentanti dei municipi hanno fatto appello all’opinione pubblica mondiale affinchè si mobiliti a favore della popolazione della Striscia.
Resta alto inoltre il rischio di un nuovo conflitto con Israele che nei giorni scorsi, in risposta ad un attacco ad una pattuglia militare lungo il confine, ha lanciato un serie di incursioni aeree contro presunte postazioni di Hamas. Il coordinatore delle attività israeliane nei Territori Occupati, generale Yoav Mordechai, ha avvertito che Israele reagirà con forza a nuove manifestazioni di protesta di abitanti di Gaza del confine perché – ha affermato – farebbero da copertura ad “attacchi terroristici”. Negli ultimi mesi già 15 dimostranti sono stati colpiti a morte dal fuoco dei soldati israeliani, gli ultimi due ad inizio settimana. Nena News