L’Onu sponsorizza un accordo temporaneo per l’ingresso di materiali da costruzione nella Striscia. Dubbi sui dettagli. Resta in un angolo la questione cuore: l’assedio.
di Chiara Cruciati
Gerusalemme, 17 settembre 2014, Nena News – Un accordo temporaneo per la ricostruzione della Striscia di Gaza, devastata da 50 giorni di violenta offensiva israeliana: è stato raggiunto ieri dalle Nazioni Unite, firmato da Autorità Palestinese e Israele. All’Onu spetterà monitorare che i materiali da costruzione entrino ma non vengano utilizzati a fini militari dalle fazioni palestinesi, ha detto al Consiglio di Sicurezza l’inviato Robert Serry.
Le stesse Nazioni Unite erano state chiare il 27 agosto, dopo la firma della tregua che metteva la parola fine all’operazione Margine Protettivo: se nella Striscia gli aiuti e i materiali per ricostruire non entreranno a ritmo sostenuto, Gaza impiegherà 15 anni a risollevarsi. I dati, infatti, sembrano mostrare come l’obiettivo israeliano, nel radere al suolo interi quartieri, distruggere le principali infrastrutture, le scuole e gli ospedali, fosse quello di tenere occupata la popolazione gazawi a lungo.
Oltre 2.150 morti, l’80% civili, 10.244 feriti, di cui 3.106 bambini, 1.970 donne e 368 anziani; mille bambini con disabilità permanenti e 373mila con i sintomi chiari dei disturbi da stress post-traumatico; 475mila sfollati (oltre un quarto dell’intera popolazione di Gaza), che hanno trovato rifugio nelle scuole dell’Unrwa o in case di amici o parenti, risultato di oltre 17mila abitazioni civili distrutte.
L’inviato Serry ha visitato la Striscia una settimana fa, prima del nuovo accordo e ha parlato di “livelli veramente scioccanti di distruzione delle infrastrutture, degli ospedali e delle scuole”. Sono 111 le strutture Onu distrutte, ha aggiunto Serry: “Il conflitto di Gaza è una tragedia umana. Se il cessate il fuoco mediato dall’Egitto ha iniziato ad operare dal 16 agosto, rimane fragile con dinamiche sotterranee ancora non affrontate”. Non è ancora chiaro quando l’accordo diventerà effettivo: per ora il ministro della Difesa israeliano Ya’alon ha fatto sapere che il numero di camion autorizzati ad attraversare il valico di Kerem Shalom passerà da 250 al giorno a 380. Ma non porteranno dentro solo materiale da costruzione: ci saranno anche beni di consumo e cibo, prodotti israeliani da vendere ad un mercato prigioniero.
Ora quindi riparta la ricostruzione di Gaza. L’accordo tra ANP e Israele riguarda l’importazione dei materiali da ricostruzione e permetterà a compagnie private di entrare nella Striscia per rimetterla in piedi. Seguirà, il prossimo 12 ottobre, una conferenza dei donatori sponsorizzata dall’Egitto per raccogliere denaro da impiegare nell’enclave palestinese. Un business ingente: il costo stimato è di 7,8 miliardi di dollari, due volte e mezzo il prodotto interno lordo della Striscia. Assordante il silenzio che resta intorno alla questione cuore: l’assedio di Gaza. Se ne dovrebbe discutere a breve, sempre al Cairo, ma l’impressione è che ben poco cambierà rispetto a prima dell’8 luglio.
I valichi restano chiusi, sebbene l’inviato Serry abbia detto di sperare in un cambiamento: “Consideriamo [questo accordo] un meccanismo temporaneo, da portare avanti senza ritardi, un passo importante verso l’obiettivo di eliminare tutte le chiusure e un segnale di speranza per Gaza”. Già, Gaza: l’economia della Striscia è ormai a pezzi. Di nuovo, target dei raid sono state le infrastrutture base di una società normale, le poche fabbriche ancora in piedi dopo le offensive del 2008-2009 e del 2012. La chiusura dei valichi impedisce alla popolazione non solo di importare, ma anche di esportare i beni prodotti all’interno, unico modo per rendere l’economia gazawi realmente sostenibile.
E poi c’è la politica. L’accordo sponsorizzato dall’Onu è stato firmato dall’Autorità Palestinese e riconosce al presidente Abbas, sommerso dalle critiche per il modo in cui ha gestito la crisi, una nuova autorità. Il governo di unità nazionale è ancora in piedi, ma gli screzi tra Hamas e Fatah si sono rafforzati per il mancato sostegno di Ramallah alle azioni di resistenza delle fazioni presenti a Gaza. Non è ancora chiaro se il movimento islamista prenderà parte al nuovo round di negoziati previsto nei prossimi giorni. Nena News