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Foto e testo: Rossana Zampini

 

Foto 1-2 : Coinvolgere gli internazionali di tutto il mondo in attività di turismo consapevole è una sfida che l’ONG palestinese ATG (Alternative Tourism Group) persegue da quasi 20 anni, attraverso viaggi che comprendono esami critici della cultura, della storia e della politica in Terra Santa.

Un progetto che va in questa direzione è l’Olive Tree Planting, una campagna lasciata dal 2001, in collaborazione con JAI (Joint Advocacy Initiative), in risposta alla sistematica confisca e distruzione delle terre appartenenti agli agricoltori palestinesi, che utilizza la piantagione degli ulivi come strumento di pace e di giustizia per contenere le mire espansionistiche israeliane.

Foto 3: È il 12 febbraio e siamo in Area C. Intorno a noi l’insediamento di Nekodem osserva 54 volontari internazionali piantare 400 ulivi sulla terra di una famiglia palestinese. Dal 1948, anno della proclamazione unilaterale dello Stato di Israele, oltre un milione di ulivi sono stati sradicati, e a partire dal 1967 Israele ha intrapreso una politica di colonizzazione attraverso la costruzione di insediamenti nei territori palestinesi, che hanno subito un forte incremento negli ultimi anni.

Foto 4: Come ci spiega Muhannad Al-Qaisy del JAI, è in questo contesto che la Olive Tree Campaign 2014 deve essere considerata: “Ci troviamo oggi nella Tequa’a Farm per ribadire che questi luoghi appartengono alla sua gente: essere qui significa difendere con la giustizia il diritto dei palestinesi alla pace, attraverso un simbolo, l’ulivo, che racchiude un valore religioso, economico, culturale. Purtroppo l’espropriazione, che ha inoltre come obiettivo quello di ostacolare l’espansione delle città, è favorita talvolta dalla difficoltà di provare la proprietà di terreno e abitazioni”.

Foto 5: L’obiettivo è quello di mettere i turisti a diretto contatto con la popolazione e le infrastrutture palestinesi, in modo da abbattere gli stereotipi occidentali e cercare di equilibrare i ricavi del settore turistico rispetto a quelli israeliani. 

Foto 6-7: All’arrivo dei militari il proprietario mostra il suo diritto di proprietà: “Talvolta i soldati israeliani arrivano ed iniziano ad urlare, impedendoci con la forza di continuare a lavorare – continua Muhannad – È un nostro diritto essere qui, non ci sarà mai pace senza giustizia”.

Jawad Musleh, coordinatore del programma, sorride: “Checkpoint e militari fanno parte della nostra quotidianità. È un bene che i turisti li vedano, non dobbiamo nasconderli. Il nostro obiettivo sta proprio nel combattere il turismo di massa e mostrare la realtà di tutti i giorni dell’occupazione,  facendo vivere i luoghi e le infrastrutture palestinesi, in modo da sviluppare una reale conoscenza della cultura e della situazione socio-politica, stando a stretto contatto con la popolazione”.

Foto 8: Dopo 3 ore di lavoro, il campo è gremito da involucri di plastica che proteggeranno le piante per il primo periodo della loro vita. La loro esistenza, come quella della loro gente, non è scontata. Solo il tempo potrà dirci se sopravvivranno fino al tempo della raccolta di suoi frutti. Nena News

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