A cinque mesi dai bombardamenti israeliani sul quartiere di Shujaiyya, le macerie delle centinaia di case sono ancora lì, sotto l’inverno della Striscia di Gaza.
testo e foto di Federica Iezzi
Gaza City (Striscia di Gaza), 5 gennaio 2015, Nena News – Khaled ci accompagna sui resti della sua casa. Tiene per mano Ahmed che gli ripete ad ogni passo “aspetta nonno”. Un po’ perchè ancora traumatizzato da tutte quelle macerie che hanno mangiato la sua bicicletta. Un po’ perchè a quattro anni non si riesce a tenere il passo di un adulto.
Ahmed custodisce ancora gelosamente tra le braccia l’orsetto di peluche, sporco di sangue e polvere, della sorellina. Pensa che sia andata via per fare un viaggio. Khaled ci racconta che la notte del 20 luglio, alle intimidazioni dell’esercito di Netanyhau, ai messaggi sui telefonini che invitavano energicamente i civili a lasciare il quartiere, i palestinesi di Shujaiyya hanno risposto con il rimanere nelle loro case. Il popolare quartiere di al-Shujaiyya, nella zona est di Gaza City, contava 92.000 abitanti. Sotto le macerie di quella notte, corpi senza vita, carbonizzati dai bombardamenti, schiacciati sotto grigi edifici distrutti, mutilati e insanguinati, sono stati ritrovati fino a un mese dopo il massacro.
72 le vittime in una sola notte, di cui 17 bambini. Oltre 200 i feriti. Più di 130.000 rimasti senza casa. L’esercito di Tel Aviv ha coordinato un’azione punitiva a Shujaiyya, dopo l’uccisione di alcuni suoi uomini. F-16, forze di terra e colpi di mortaio israeliani, con almeno 600 granate, hanno violato indiscriminatamente il quartiere, dichiarando che oltre 140 razzi di Hamas sarebbero partiti da dozzine di case già distrutte. I mezzi corazzati israeliani hanno fatto fuoco per impedire alla popolazione di rientrare nelle case.
Khaled ci mostra il quartiere devastato. Si immagina la distruzione ma non la desolazione. E’ un quartiere che non esiste più se non nei ricordi delle persone, negli oggetti che spuntano ancora tra quelle macerie dopo mesi, negli occhi dei bambini costretti ad andare a prendere acqua nelle cisterne e nel lavoro degli adulti che tentano di rimettere insieme i pezzi. Ci dice che ognuno degli abitanti qui ha perso amici o parenti. Ognuno di loro ha perso case e oggetti che ricordano la quotidianità. A Shujaiyya chi aiuta chi? Sono tutti nella stessa situazione.
Ci racconta che dopo una decina di giorni dal massacro, l’esercito israeliano, nonostante una tregua di quattro ore, ha iniziato a bombardare il mercato del quartiere. Mi chiede dignitosamente “Chi pensavano di uccidere nel mercato?”. Altri 17 abitanti di Shujaiyya hanno perso la vita, tra cui un giornalista e due paramedici. Non si tratta di razzi. Non si tratta di scudi umani o terrorismo o tunnel. Si tratta di un controllo permanente di Israele sulle vite dei palestinesi. Nella Striscia di Gaza c’è una carenza di cibo intermittente, che viene utilizzata per esercitare pressione sulla popolazione. La prima conseguenza del danneggiamento delle centrali elettriche è la carenza di acqua potabile. Punizioni collettive dell’incrollabile pluridecennale politica israeliana.
Khaled e Ahmed vivono in una tenda costruita con alluminio e plastica. Dentro: materassi, qualche coperta e un pentolino sempre caldo con il tè. Iniziano a pregare quando dal minareto viene annunciata la salat. La guerra li aveva spenti. Adesso le macerie odorano di cannonate e polvere. Ci dice Khaled che devono prepararsi all’inverno e alle piogge. Ahmed invece ci dice che la mamma, il papà e Amal, la sorellina, sono in un posto più caldo e torneranno quando arriverà la casa nuova in estate. Nena News