Ancora liberi due leader africani responsabili di massacri e abusi: l’ex dittatore etiope Mènghistu Hailé Mariàm e il ruandese Protais Mpiranya, ex comandante del Rwandan Presidential Guard. Entrambi salvi grazie alla protezione garantita in passato da Mugabe
di Federica Iezzi
Roma, 26 marzo 2022, Nena News – Provengono da Etiopia e Ruanda i due esponenti africani ricercati ancora oggi per crimini contro l’umanità. Si tratta dell’ex dittatore etiope Mènghistu Hailé Mariàm e il ruandese Protais Mpiranya, ex comandante del Rwandan Presidential Guard, con un ruolo chiave nel genocidio delle minoranze tutsi e hutu moderati.
Il Negus Rosso, responsabile del Qey Shibir, il terrore rosso, condannato a morte nel suo stesso Paese nel 2008, ha vissuto negli ultimi 30 anni una vita agiata ad Harare, come consulente per la sicurezza del governo, protetto da Robert Mugabe. Quando arrivò in Zimbabwe nel 1991, Mènghistu era appena fuggito dall’Etiopia dopo 14 anni di regno alla testa di un brutale regime marxista-leninista.
Il suo comitato militare, il Derg, era noto per la crudeltà nella campagna di assassini e esecuzioni degli oppositori politici, soprattutto sostenitori dell’Ethiopian People’s Revolutionary Party (Eprp).
La sistematica uccisione di persone sospettate di essere membri dell’Eprp, iniziò nel settembre 1976. Arresti, detenzioni amministrative senza processo, torture e sparizioni erano le armi. Nessuno conosce il numero esatto di deceduti, arrestati o costretti a fuggire all’estero. Almeno 10mila furono uccisi nella sola Addis Abeba nel 1977 e probabilmente un numero comparabile nelle altre province. L’obiettivo principale del terrore rosso era la generazione di persone urbane con almeno un’educazione minima.
Dopo la caduta del Derg nel 1991, l’Eprp al potere iniziò un ambizioso progetto per assicurare alla giustizia i membri del regime di Mènghistu. Nel 1997, più di 5mila persone implicate nel terrore rosso in Etiopia sono state arrestate o condannate in contumacia.
Negli anni ’80, Mènghistu aveva sostenuto Mugabe e il suo movimento di guerriglia per l’indipendenza in quella che era ancora chiamata Rhodesia del Sud. Mugabe in cambio ha offerto a Mènghistu passaporto diplomatico e immunità.
Da quando Félicien Kabuga, il finanziere del genocidio ruandese, è stato arrestato in Francia nel 2020, ed è stata annunciata la morte dell’ex ministro della Difesa del Rwanda, Augustin Bizimana, il nome di Protais Mpiranya è volato in cima alla lista dei ricercati.
Accanto a lui ci sono gli altri cinque rwandesi (Fulgence Kayishema, Charles Sikubwabo, Aloys Ndimbati, Charles Ryandikayo, e Pheneas Munyarugarama) ancora indagati dall’International Residual Mechanism for Criminal Tribunals, nominato a svolgere le residue funzioni del Tribunale penale internazionale per il Ruanda, formalmente chiuso nel dicembre 2015.
L’ex comandante della guardia presidenziale ruandese, sospettato di aver svolto un ruolo di primo piano nel genocidio del 1994, è anche oggetto di un avviso di ricerca internazionale dell’Interpol e del Dipartimento di Stato americano. Mpiranya gode di un alto livello di protezione nell’Africa meridionale, dove ha cercato rifugio.
Per lungo tempo ha beneficiato del regime di Mugabe e delle autorità sudafricane. È stato inviato in Zimbabwe come rappresentante delle Democratic Forces for the Liberation of Rwanda, milizia composta da ex hutu implicati nel genocidio. Si è poi spostato impunemente tra Zimbabwe, Swaziland, Lesotho e Sudafrica.
In fuga da 20 anni, accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità, nonché mandante dell’omicidio dell’allora primo ministro Agathe Uwilingiyimana, Mpiranya è il maggior ricercato dei sei latitanti rimasti, incriminati da un tribunale internazionale, per il massacro del 1994 che ha provocato circa 800mila morti. Nena News