Oggi seggi aperti in 12 province siriane su decisione del governo. A Ginevra il dialogo è dettato dalle necessità degli attori terzi. E gli Usa pensano a riarmare le opposizioni
della redazione
Roma, 13 aprile 2016, Nena News – Il presidente Assad si è presentato stamattina al seggio della Biblioteca Assad di Damasco e ha votato per le elezioni parlamentari. Come annunciato a metà febbraio unilateralmente dal governo siriano, oggi i siriani scelgono i 250 membri del nuovo parlamento tra 3.500 candidati. Ovviamente non tutti i siriani potranno infilare la scheda nell’urna: i seggi sono aperti solo nelle zone controllate dal governo, 12 province su 14 (escluse Raqqa e Idlib). Restano fuori i territori sotto l’Isis e sotto le milizie di opposizione e le zone delle 12 province controllate dai gruppi armati, senza contare che la metà della popolazione siriana è oggi o sfollata all’interno o rifugiati all’estero.
Queste elezioni non sono rappresentative come dovrebbero e appaiono come un tentativo di rafforzare la figura del presidente nello stesso giorno in cui si riapre il negoziato di Ginevra. La delegazione dell’Hnc, Alto Comitato per i Negoziati, federazione delle opposizioni nata a dicembre in Arabia Saudita, è arrivata oggi in Svizzera, mentre quella del governo solo venerdì con in tasca il risultato della tornata elettorale.
Sebbene Damasco insista che il voto non è in alcun modo collegato al dialogo, è chiaro che così non è: Assad prova a rafforzarsi anche politicamente, dopo le vittorie militari ottenute in questi mesi (l’ultima e più importante la liberazione di Palmira), per affossare la precondizione posta dalle opposizioni, ovvero la sua esclusione dal governo di transizione che dovrebbe nascere. A dettare l’agenda delle opposizioni restano gli avversari regionali di Damasco, Riyadh e Ankara, che hanno dato vita ad un fronte anti-Assad a loro congeniale. Non è un caso che fuori continuino a restare i kurdi siriani, il Pyd di Rojava (ufficialmente escluso dal veto posto dai membri occidentali del Consiglio di Sicurezza Onu la scorsa settimana) e dentro rimangano ben piantati gli islamisti e salafiti di Ahrar al-Sham e Jaish al-Islam, che non disprezzano alleanze militari con i qaedisti di al-Nusra.
Il negoziato non è inclusivo, non ha basi concrete e comuni da cui partire e non tiene conto del volere del popolo siriano, sostituito dalle necessità neocoloniali delle super potenze e dagli interessi particolari dei paesi della regione. Le precondizioni poste da entrambe le parti ne sono lo specchio.
Lunedì il ministro degli Esteri siriano, Walid al-Muallem, ha incontrato l’inviato Onu per la Siria, Staffan de Mistura, e ha ribadito l’impegno al dialogo senza precondizioni. Una, però, ce n’è: Assad non se ne andrà, a decidere sarà il popolo siriano con le future elezioni presidenziali. Stessa posizione della Russia, sebbene sia chiaro a molti che Mosca sia pronta a sacrificarlo in futuro pur di mantenere piedi nel paese e sul Mediterraneo e mani sul business energetico e della ricostruzione.
Ci si gioca tutto sul filo, tra due parti ancora troppo distanti per negoziare e poteri esterni interessati a guadagnare qualche metro sul campo per imporre la propria idea di transizione politica a Ginevra. Così Mosca prepara l’offensiva su Aleppo schierando la propria aviazione a copertura delle truppe governative e Washington mette in caldo un piano B nel caso la tregua iniziata il 27 febbraio non regga più.
La Cia, insieme agli alleati regionali, ha preparato un piano per la consegna di altre armi alle opposizioni moderate, strumentazioni migliori che permettano – nel caso di necessità – di colpire sia l’artiglieria che l’aviazione governative. Lo fa sapere il Wall Street Journal che riporta di un incontro segreto con i capi delle intelligence dei paesi mediorientali alleati, già alla vigilia del cessate il fuoco. Nena News