Nuovo capitolo nella vicenda di Tiran e Sanafir: la sentenza di ieri afferma che ogni tentativo di cederle sarà ritenuto incostituzionale. Lettera di 10 senatori Usa al presidente Trump: “Spinga al-Sisi ad annullare la legge su ong e a porre fine alla repressione della società civile”. L’esercito e polizia, intanto, dichiarano: “Uccisi 15 jihadisti tra Sinai e Alessandria”
AGGIORNAMENTO ore 16:20
La corte costituzionale egiziana ha deciso oggi di bloccare tutti i verdetti sul trasferimento delle due isole finché non prenderà una decisione sulla costituzionalità dell’accordo tra il Cairo e Riyadh
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della redazione
Roma, 21 giugno 2017, Nena News – Questa cessione ai sauditi non s’ha da fare. È questo il significato del verdetto di ieri della corte amministrativa egiziana a proposito di Tiran e Sanafir, le due isole disabitate del Mar Rosso dallo scorso aprile diventate un caso di politica locale e regionale. La corte – secondo la costituzione egiziana il più importante ente giudiziario che può redimere dispute amministrative – ha infatti stabilito nulle le precedenti sentenze favorevoli al loro trasferimento a Riyadh. “La terra è egiziana” ha riassunto con soddisfazione Khaled Ali, l’avvocato che ha difeso in tribunale la proprietà egiziana dei due territori. Il verdetto afferma che ogni tentativo di cedere le isole sarà ritenuto incostituzionale “perfino se il presidente dovesse ratificare l’accordo [fatto con i sauditi]” ha precisato Ali.
Finora i tribunali egiziani hanno emesso sentenze contraddittorie su Tiran e Sanafir contribuendo ad aumentare le tensioni tra il governo (che sostenie che appartengano ai sauditi) e ai tanti comuni cittadini che considerano una loro cessione come un “tradimento”. La decisione di ieri è l’ennesimo capitolo di una storia che, siamo certi, non è destinata a finire qui: si pensi solo che la scorsa settimana il parlamento aveva approvato il contestato trasferimento ribadendo che non avrebbe tenuto in considerazione le sentenze giudiziarie.
Stando a quanto affermano i media locali, il concetto sarebbe stato ripetuto ieri in modo chiarissimo dal presidente del parlamento, Ali Abdul Aal: “Per la millesima volta, il verdetto e il nulla si assomigliano: non permetteremo a nessuna autorità di assaltare il parlamento”. Di sicuro Khaled Ali ha ragione quando dice che “ora la palla passa al presidente [al-Sisi]”. Tuttavia, salvo clamorosi passi indietro, l’ex generale darà il suo ok all’accordo con l’Arabia Saudita nonostante sappia bene che un tale atto genererà il malcontento di molti egiziani.
La proprietà di Tiran e Sanafir, per più di 30 anni sotto il controllo egiziano, è stata a lungo dibattuta nel corso degli anni dal Cairo e Riyadh che ne hanno rivendicato rispettivamente l’appartenenza. Alla base dell’accesa disputa diplomatica vi è l’importanza strategica che le due isole hanno poiché si trovano tra la città giordana di Aqaba e quella israeliana di Eilat. Una rilevanza geopolitica, del resto, che non è sfuggita alla stessa Tel Aviv che le aveva occupate nel 1967 durante la Guerra dei Sei Giorni salvo poi restituirle nel 1982 agli egiziani in seguito agli accordi di pace di Camp David.
La loro recente cessione ai “fratelli” sauditi – stabilita l’anno scorso durante una visita al Cairo di re Salman – aveva generato accese proteste da parte di numerosi egiziani che avevano accusato il governo di averle “vendute” in cambio di aiuti economici. Un sostegno finanziario di cui il governo egiziano ha sempre più bisogno per sopravvivere (vista la situazione economica in cui versa), ma che ha un prezzo esoso: Riyadh ha comprato la fedeltà egiziana in politica interna (nella repressione dei Fratelli Musulmani) e in quella estera con prestiti, finanziamenti, donazioni e accordi sull’export di greggio.
Non è un periodo facile per il presidente al-Sisi: il governo sta portando avanti riforme di austerità imposte lo scorso novembre dal Fondo monetario internazionale in cambio di un prestito di 12 miliardi di dollari. Politiche che hanno fatto schizzare in alto i prezzi e aumentato vertiginosamente l’inflazione.
A inizio aprile, inoltre, l’Egitto ha ricevuto anche la prima tranche di aiuti (1 miliardo di dollari sui 3 complessivi) stanziati dalla Banca Mondiale per sostenere le “riforme economiche” del Cairo, in particolar modo in campo fiscale, in quello energetico e nel settore privato. Intervistato lo scorso maggio sul portale Middle East Eye, l’economista e ricercatore presso il prestigioso Carnegie Middle East Center, Amr Adly, ha tracciato un quadro disastroso: “L’attuale crisi è abbastanza terribile: i tassi d’inflazione sono i più alti dalla fine degli anni ’80 e la recessione è stata estesa ora per cinque o sei anni. È la peggiore crisi economica che deve affrontare questa generazione di egiziani”.
Due giorni fa, intanto, 10 senatori statunitensi hanno chiesto al presidente americano Donald Trump di fare pressioni sul suo pari egiziano per annullare la recente legge sulle ong e per fermare il giro di vite sui gruppi della società civile. In una lettera ufficiale, i senatori, sia democratici che repubblicani, hanno scritto che la legge porterà “ad una repressione senza precedenti” e hanno esortato Trump a chiedere ad al-Sisi di porre fine ai casi giudiziari “politicamente motivati” per il bene delle relazioni diplomatiche tra i due paesi.
Le notizie che giungono dal Cairo non sono del resto confortanti. L’altro giorno il ministero dell’educazione ha deciso di togliere dai curricula delle scuole secondarie gli eventi della rivoluzione del 25 gennaio 2011 e quelli del 30 giugno 2013 quando l’attuale presidente al-Sisi ha preso il potere con un golpe militare. Le novità dovrebbero partire dal prossimo anno scolastico.
Lunedì, poi, la corte penale della capitale ha alleggerito di fatto la condanna all’ufficiale di polizia che nel 2015 sparò all’attivista 32enne Shamimaa el-Sabbagh durante il quarto anniversario della rivoluzione del 25 gennaio. Nel nuovo processo ai suoi danni, infatti, gli anni di prigione passano da 15 a 10.
Ieri, intanto, in due differenti comunicati, il ministero degli Interni e l’esercito hanno comunicato che le forze di sicurezza egiziane hanno ucciso 15 “jihadisti” tra la penisola del Sinai e la città di Alessandria. Secondo la versione ufficiale, nel nord del Sinai le vittime sono state 12 ed è stata colpita una “roccaforte dei terroristi” affiliati al ramo locale dell’autoproclamato Stato Islamico, in passato conosciuto come Ansar Beit al-Maqdis. Nena News
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