Pugno duro oggi delle autorità egiziane contro i manifestanti anti-regime. Arrestati anche 25 giornalisti. In strada anche i sostenitori del presidente. Ma l’atteggiamento della polizia con loro è stato totalmente diverso
della redazione
Roma, 25 aprile 2016, Nena News – Il presidente egiziano al-Sisi e il ministero degli interni sono stati di parola: la “risposta ferma” promessa ieri agli oppositori del regime si è tramutata oggi in realtà. Le diverse manifestazioni anti-governative che hanno avuto luogo in diverse località dell’Egitto hanno ricevuto tutte la stessa risposta da parte delle autorità governative: lacrimogeni, pallottole e arresti. Epicentro delle proteste è stata piazza al-Mesaha a Dokki, un distretto di Giza. Qui il corteo è sfilato per le strade al grido “Vattene!” e “Che cada il governo militare”. Il riferimento era ad al-Sisi che è salito al potere con un golpe militare nel luglio del 2013. A far aumentare la rabbia dell’opposizione è stata anche la recente decisione del Cairo di cedere all’Arabia Saudita le due isole di Tiran e Sanafir a sud del Sinai.
Non è possibile quantificare al momento il numero delle persone arrestate. Secondo “Libertà per i coraggiosi”, un gruppo che si occupa della causa dei detenuti, gli arrestati sarebbero a decine nella sola Giza. Secondo quanto riferisce il movimento 6 aprile – tra i principali protagonisti del movimento rivoluzionario del 2011 – i cortei sono stati dispersi velocemente dalla polizia grazie all’utilizzo di gas lacrimogeni e pallottole ricoperte di gomma. In piazza erano presenti tutte le principali forze dell’opposizione: dal movimento 6 aprile, ai socialisti rivoluzionari alla Fratellanza Musulmana.
A pagare un prezzo salato della “risposta ferma” delle autorità locali sono stati anche i giornalisti: sarebbero almeno 25 gli operatori dell’informazione arrestati stamani mentre coprivano le proteste. Tra questi vi sarebbe Stefan Sigurd Weichert di Ahram Weekly e Harald Christian Hoff, un free lancer novergese. Un gruppo di 17 organizzazioni umanitarie ha chiesto al governo di rilasciare tutti i manifestanti arrestati oggi. “Le organizzazione firmatarie – si legge in una nota – hanno chiesto ripetutamente l’abrogazione della legge della protesta [che impone per ogni manifestazione l’ok prima delle forze di sicurezza, ndr] e chiedono al ministro degli interni di porre fine alla violazione del diritto di assembramento pacifico”.
Richieste che cadranno sicuramente nel vuoto. Era stato infatti proprio il titolare del dicastero degli Interni, Magdy Abdel Ghaffar, a promettere “tolleranza zero” per chi avesse provato a “mettere a repentaglio la sicurezza dello stato”. Il ministro aveva poi invitato gli egiziani a non solidalizzare con coloro che “portano il caos [nel Paese]” ha tuonato. Ovviamente nel rilasciare tali dichiarazioni, Ghaffar non stava affatto pensando a coloro che avrebbero manifestato per al-Sisi. L’atteggiamento delle forze di polizia con loro è stato molto “soft”. I sostenitori dell’ex generale hanno potuto sfilare tranquillamente con striscioni inneggianti al presidente egiziano e al re saudita Salman. “Abbiamo dato a Re Salman due isole e gli daremo anche le Piramidi e la Sfinge se le vuole” ha scritto su Twitter un dimostrante filo regime.
Di tutt’altro avviso è l’opposizione. La “vendita” a Riyad delle due isole sul Mar Rosso è considerata un “tradimento” nei confronti del popolo egiziano. Il movimento islamico dei Fratelli Musulmani ha rilasciato ieri un comunicato in cui, dopo aver invitato gli egiziani ad unirsi alle proteste di oggi, si è detto certi che il governo egiziano restituirà il controllo della Penisola del Sinai all'”entità sionista” [Israele, ndr].
“I leader golpisti hanno profanato la terra egiziana, l’onore egiziano calpestando la dignità dei cittadini egiziani, infamando la storia, la cultura e la tradizione di questa amata patria commettendo crimini contro l’umanità”. “L’unica soluzione – si legge ancora nella nota – “è porre fine a questo golpe ileggittimo, rinstallare la legittimità democratica e riparare alle ingiustizie e ai crimini compiuti dal colpo militare”. La versione offerta dal Cairo e Riyad è ovviamente diversa. Egitto e Arabia Saudita, infatti, sostengono che le isole siano sempre appartenute al regno saudita e siano state controllate dall’Egitto solo perché il regno wahhabita glielo ha chiesto nel 1950 per proteggerle.
Da quando è salito al potere con un golpe nel luglio del 2013 che ha destituito il presidente islamista legittimamente eletto Mohammed Morsi, l’ex generale as-Sisi ha arrestato (e ucciso) migliaia di oppositori e attivisti. Nena News