Ieri la corte amministrativa di appello ha confermato l’annullamento dell’accordo di cessione delle due isole e multato il presidente. L’Arabia Saudita blocca i cargo di greggio verso il Cairo, sintomo di una rottura sempre più ampia
Chiara Cruciati
Roma, 9 novembre 2016, Nena News – Un altro schiaffo al regime del Cairo è arrivato ieri dopo la sentenza del 21 giugno con cui una corte amministrativa egiziana aveva annullato la cessione delle isole Tiran e Sanafir all’Arabia Saudita, decisa ad aprile dal presidente al-Sisi durante la visita di re Salman nel paese.
Ieri la corte amministrativa di appello ha rigettato il ricorso mosso a fine giugno dall’esecutivo, confermando di fatto l’annullamento dell’accordo di cessione. Tiran e Sanafir, insiste la magistratura egiziana, sono proprietà nazionale. Non si svendono, come richiesto all’epoca da una mozione di un gruppo di avvocati tra cui il noto Malek Adly della Rete degli avvocati dell’Egyptian Center for Economic and Social Rights, che ha trascorso per questo cinque mesi in prigione in totale isolamento.
Non solo: la corte ha multato il presidente al-Sisi e il premier Ismail. Dovranno pagare 800 sterline egiziane, poco più di 40 euro, a testa per aver fatto appello, ma non si fermano: il 5 dicembre è prevista l’udienza di fronte all’Alta Corte amministrativa. Una multa simbolica, è vero, ma che lascia il presidente golpista nudo. Proprio quella cessione, ad aprile, scatenò proteste di massa nel paese, manifestazioni popolari per la prima volta dal golpe del 2013 e dalla repressione sanguinosa delle proteste dei Fratelli Musulmani.
Il paese si era sollevato per due isole, ma quella sollevazione aveva il sapore chiaro di un crollo del consenso di un governo repressivo e dittatoriale. In migliaia sono finiti in prigione per aver difeso le due isole. E i tribunali continuano a dare loro ragione, sebbene siano ancora tantissimi gli attivisti dietro le sbarre. Oltre 150 di loro sono stati condannati a pene dai due ai cinque anni.
Di quella cessione, però, il governo egiziano aveva bisogno per sopravvivere. Un regalo che sottindeva l’ingresso nella sfera di influenza e potere saudita che a suon di miliardi di dollari – linfa vitale per un paese in grave crisi economica – si comprava la fedeltà egiziana in politica interna (nella repressione dei Fratelli Musulmani) e in quella estera con prestiti, finanziamenti, donazioni e accordi sull’export di greggio. Ma ad ottobre Il Cairo ha preso decisioni decisamente negative per Riyadh, la fine della luna di miele: l’Egitto ha infatti votato a favore della risoluzione russa sulla Siria avversata dai sauditi, per poi riallacciare i rapporti con Mosca e discutere anche con l’Iran. Infine non ha mandato in Yemen i soldati che l’Arabia Saudita si aspettava.
Non stupisce dunque la decisione di lunedì di Riyadh che ha sospeso a tempo indeterminato un accordo di aiuti energetici da 23 miliardi di dollari al Cairo. A confermarlo è stato il ministro del Petrolio egiziano El Molla: “Nn ci hanno dato una motivazione. Ci hanno solo informato di aver bloccato la spedizione di greggio fino a prossima notifica”.
Anche questo accordo risaliva alla visita di aprile di re Salman al Cairo: 700mila tonnellato di greggio raffinato al mese per cinque anni. I primi cargo sono partiti e arrivati fino all’inizio di ottobre. Poi i primi screzi e oggi il blocco. A monte, dicono fonti saudite, la visita che il ministro El Molla avrebbe dovuto fare in Iran, proprio per negoziare un altro accord petrolifero. El Molla nega, ma la rottura non si è ricucita. Forse al-Sisi si sente abbastanza coperto dai generosi prestiti di Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale. Nena News
Chiara Cruciati è su Twitter: @ChiaraCruciati