Secondo il quotidiano giordano al-Ad, Tel Aviv avrebbe pagato 5 milioni di dollari ai familiari di tre giordani uccisi da due guardie di sicurezze israeliane nel marzo del 2014 e lo scorso luglio. L’ufficio del premier Netanyahu ha fatto sapere che sarà riaperta immediatamente l’ambasciata dello stato ebraico ad Amman
di Roberto Prinzi
Roma, 20 gennaio 2018, Nena News – Cinque milioni di dollari e scuse formali. Sarebbe questa la formula a cui sarebbero giunti Tel Aviv e Amman per porre fine al clima di tensione che regnava tra le due parti dallo scorso luglio quando due cittadini del regno hashemita sono stati uccisi da una guardia di sicurezza israeliana dell’ambasciata d’Israele. A riportarlo è oggi il quotidiano giordano al-Ad: fonti vicine alle famiglie delle vittime hanno fatto sapere che i familiari sarebbero stati d’accordo con i termini dell’intesa e avrebbero già incassato la somma di denaro tramite il governo giordano.
Che la riconciliazione tra le due parti fosse ormai ufficiale è noto da alcuni giorni: giovedì la Giordania aveva fatto sapere che Israele si era formalmente scusata per la morte dei suoi due connazionali. La notizia aveva trovato conferme da Tel Aviv: di ritorno dal suo viaggio in India, infatti, il premier Netanyahu aveva espresso dispiacere per l’accaduto e confermato che il suo governo avrebbe pagato un compenso alle famiglie delle due vittime. L’ufficio del primo ministro, inoltre, ha reso noto che nell’accordo raggiunto rientra anche “l’incidente” del giudice giordano Raed Zeiter, ucciso da una guardia di sicurezza israeliana sul valico del Giordano nel marzo del 2014. Ovviamente pagata moneta, visto cammello: Israele ha fatto sapere che le attività della sua ambasciata in Giordania “riprenderanno subito”.
Si è risolta quindi con una cifra di denaro irrisoria e soprattutto con zero responsabilità politiche per Tel Aviv una questione che aveva rappresentato (almeno nella sua fase iniziale) qualche grattacapo al governo Netanyahu. I fatti risalgono a luglio quando due giordani Mohammed Jawawdeh e Bashar Hamarneh venivano ammazzati da una guardia armata israeliana. Tel Aviv difese subito il suo connazionale e parlò di “attacco terroristico”: l’uomo aveva sparato e ucciso dopo essere stato attaccato e lievemente ferito da un lavoratore giordano che stava consegnando dei mobili nella sua casa all’interno dell’ambasciata. Insomma per il governo israeliano si trattò di un atto di auto-difesa. Israele decise di rimpatriare immediatamente il suo connazionale sotto immunità diplomatica così da impedire alle autorità giordane di interrogarlo e processarlo.
Ritornato a casa, l’uomo fu salutato dal governo come un eroe. Fatto, questo, che mandò ancora di più su tutte le furie il re giordano Abdallah che accusò Netanyahu di strumentalizzare quanto accaduto per “uno show politico”, un atto “provocatorio su tutti i fronti”.
La reazione politica giordana fu immediata: l’ambasciata israeliana ad Amman fu chiusa prontamente e sia l’ambasciatore che il suo staff furono costretti a lasciare il paese. Utilizzando la classica retorica dell’orgoglio arabo ferito, le autorità del regno hashemita promisero che la riconciliazione tra i due Paesi non avrebbe mai avuto luogo finché la guardia di sicurezza non sarebbe stata processata. Parole spazzate via da cinque milioni di dollari e qualche frase di dispiacere pronunciata con pigrizia a Tel Aviv. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir