Ieri il tribunale di Nazareth ha condannato a cinque mesi Dareen Tatour, poetessa palestinese, per dei versi pubblicati nel 2015 e per i quali ha già scontato tre anni ai domiciliari. Al Cairo Galal al-Behairy dovrà scontare tre anni per una canzone e un libro di poesie che per il regime sono occulte critiche a esercito e al-Sisi
della redazione
Roma, 1 agosto 2018, Nena News – Quando uno Stato ha paura di una poesia, la democrazia è un miraggio. Così succede che in poche ore, tra Il Cairo e Nazareth, due poeti finiscano in prigione per dei versi. Il primo condannato dal regime del generale golpista al-Sisi, il secondo dalle autorità di uno Stato che si definisce per legge solo ebraico.
Dareen Tatour è palestinese, cittadina israeliana. Vive a Nazareth, è una poetessa e una scrittrice. Nel 2015, nei giorni caldi, i primi, della cosiddetta Intifada di Gerusalemme – mesi di attacchi isolati con i coltelli da parte di giovani palestinesi contro soldati e coloni israeliani, a volte veri, a volte presunti – pubblicò la poesia “Resist, my people resist them” su internet. A fare da sfondo un video con le immagini di proteste palestinesi.
Per quella poesia aveva subito una condanna a tre anni di arresti domiciliari. Ieri il tribunale di Nazareth, città a maggioranza palestinese nel nord di Israele, ha comminato una nuova pena: cinque mesi di carcere per “incitamento alla violenza”. La stessa corte a maggio l’aveva dichiarata colpevole del reato, ieri ha emesso la sentenza.
“Resisti, mio popolo, resisti loro / A Gerusalemme, ho indossato le mie ferite e respirato le mie pene /E ho portato l’anima sul palmo della mano / per una Palestina araba / Non mi arrenderò a una soluzione pacifica / Non abbasserò le mie bandiere / finché non li caccerò dalla mia terra”.
Questo un estratto della poesia incriminata che racconta le storie di tre giovani, l’adolescente Mohammed Abu Khdeir, rapito e dato alle fiamme da alcuni coloni a Gerusalemme, Hadeel al-Hashlamoun, 18enne ucciso dall’esercito a Hebron, e il piccolo Ali Dawabsheh, otto mesi, ucciso da un gruppo di coloni che hanno dato fuoco alla sua casa vicino Nablus.
Per il legale di Tatour, Gaby Lasky, “il verdetto viola il diritto di parola e la libertà di espressione ed è una violazione dei diritti della minoranza palestinese dentro Israele”. Per la poetessa si erano mobilitati autori e scrittori da tutto il mondo, tra cui 150 intellettuali statunitensi – tra cui Naomi Klein e il premio Pulitzer Alice Walker – che avevano fatto appello a Tel Aviv perché la rilasciasse.
Niente da fare. In un video pubblicato online Tatour ha promesso che continuerà a scrivere: “Dopo la legge sullo Stato-nazione ebraico, mi aspetto di tutto – diceva poche ore prima l’emissione della sentenza – Non credo che in Israele ci sia giustizia e continuerò a scrivere poesie con il linguaggio che voglio e con le parole che scelgo. Non accetto di farmi dire da nessuna legge cosa scrivere e come”.
Tatour era stata già arrestata l’11 ottobre del 2015, pochi giorni dopo la pubblicazione della poesia su Facebook, per essere posta ai domiciliari per tre anni il gennaio successivo. In tanti hanno paragonato il suo caso a quello del soldato israeliano Elor Azaria, che per aver ucciso un palestinese ferito, a terra, ha scontato solo nove mesi di prigione.
Nelle stesse ore in Egitto Galal al-Behairy veniva condannato a tre anni di carcere da un tribunale militare e al pagamento di una multa di 560 dollari per un libro di poesia che, secondo i giudici, avrebbe criticato l’esercito egiziano e per una canzone che avrebbe preso in giro il presidente al-Sisi. L’accusa è blasfemia e insulti all’establishment militare.
Al-Behairy era stato arrestato lo scorso marzo, dopo l’uscita della canzone “Balaha”, nome di un personaggio di un film egiziano, un bugiardo compulsivo, con cui gli egiziani si prendono gioco di al-Sisi:
“Oh Balaha, quattro anni sono alla fine trascorsi in disgrazia / Con tutti tuoi gangster nelle prigioni più buie / Spero tu possa marcire in un posto così”
Non solo: il poeta ha scritto un libro, una raccolta di poesie intitolata “The finest women on Earth”, titolo che secondo la magistratura militare richiama ai soldati del paese: un hadith attribuito al profeta Maometto parla di “the finest soldiers on Earth”. Per il tribunale, dunque, una presa in giro dell’esercito e una sua “femminilizzazione”. Al-Behairy si è difeso, parlando di folle interpretazione. Tant’è: la poesia è comunque finita dietro le sbarre di un regime sempre più paranoico. Nena News