Il più grande dei poeti palestinesi, uno dei maggiori del mondo arabo contemporaneo, ha oscillato tra due imperativi. Da una parte avrebbe voluto liberarsi dell’immobilità, dall’altra si è sentito sempre legato alla sua amata terra che non gli ha permesso di allontanarsi. Fin dall’infanzia gli è stato trasmesso l’impegno della ‘presenza’.
Roma, 28 agosto 2015, Nena News – Mahmud Darwish (1941-2008) è diventato uno dei più grandi poeti arabi contemporanei, e soprattutto una delle voci più importanti della causa palestinese. Nella sua poesia egli ha unito l’impegno politico all’arte, riuscendo a conciliare il tutto con una grazia estetica elevata, usando un linguaggio in continua trasformazione stilistica e formale. Ha sempre detto che ogni poeta in ogni luogo e in ogni tempo è “figlio delle proprie circostanze storiche e sociali” così gli restano i suoi scritti dove riversare le sue ansie speranze.
Darwish è nato nel 1941 in Galilea, nel villaggio al-Birwah tante volte menzionato nei suoi versi. Nel 1948, a seguito della diaspora palestinese, segue la famiglia in Libano; paese in cui resteranno solo per un anno riuscendo a ritornare in Palestina, dove scopriranno che al posto dell’amato villaggio c’è ora un insediamento ebraico. Da questo momento inizia lo struggimento del fanciullo che, divenuto poeta, non dimenticherà mai il suo paese e ricordandolo sempre come il paradiso perduto. Da giovane entra nel Partito comunista israeliano ” Raqah” unendo ben presto l’impegno politico con le aspirazioni letterarie.
Arrestato più volte, sceglierà la via dell’esilio, rifuggendo prima al Cairo poi a Beirut dove rimarrà fino al 1982. Lascerà Beirut dilaniata dalla guerra civile per andare a Parigi ed in seguito a Cipro dove fonda la prestigiosa rivista al-Karmil. Ha diretto l’Unione degli scrittori e giornalisti palestinesi ed è stato membro del comitato esecutivo dell’OLP. Questo breve panorama della vita di Darwish ci mostra quanto “il sogno palestinese” sia centrale nel suo lavoro artistico. Le sue liriche sono piene di nostalgia, sognano la patria perduta, la patria identificata con la donna-madre-terra-amata.
Nonostante la passione per la propria terra, non si può etichettare la sua poesia, semplicisticamente, come “poesia della resistenza palestinese“: definizione un po’ limitativa tenendo conto del carattere sfaccettato e complesso del mondo poetico di Darwish. Proprio in un intervista al quotidiano “Al-Quds al-‘Arabi” , l’autore spiega :”…. Non so perché la mia poesia debba essere sacrificata sull’altare dei concetti a etichetta. Non sono solo un cittadino della Palestina, anche se sono fiero di appartenere ad essa e pronto a sacrificare la vita per portare luce sulla questione palestinese ….”
La lirica pubblicata nel 1995 ” Vedo la mia ombra che viene da lontano ” può essere considerata il manifesto poetico di Darwish. Egli dichiara di volersi aprire a ogni realtà per comprendere la sofferenza di tutti gli uomini perfino dei nemici: “Mi apro sugli alberi che proteggono la notte , da se stessa, e vegliano sul sonno, di chi mi vorrebbe morto”.
Il tema della solitudine e l’immagine del cavallo nella presente raccolta sono connessi intimamente a quelli dell’assenza, della lontananza. Poesia dunque come Patria.
Darwish oscilla tra due imperativi. Da una parte vorrebbe liberarsi dell’immobilità, dall’altra si sente legato al ricordo che lo tiene fermo dov’è e non gli permette di allontanarsene. Fin dall’infanzia gli è stato trasmesso l’impegno della ‘presenza’.
Suggestiva è questa lirica a forma di dialogo tra il poeta bambino e il padre: “Perché, padre, hai lasciato il cavallo alla sua solitudine?” -si domanda in questa raccolta di poesie- Perché dia vita alla casa, figliolo. Le case muoiono se parte chi le abita”.
Titolo: Perché hai lasciato il cavallo alla sua solitudine.
Autore: Mahmud Darwish
Edizioni: San Marco dei Giustiniani
Anno : 2001