Inaugurata a Gaza la mostra del pittore gazawi scomparso 10 anni fa. Tra i temi delle sue opere: la resistenza all’occupazione israeliana, i ricordi degli anni di prigione, la rappresentazione degli elementi della quotidianità elevati a simbolo antropologico della vita palestinese sulla terra
testo e foto di Patrizia Cecconi
Roma, 15 marzo 2018, Nena News – Nella Gaza sconosciuta ai più, quella che all’assedio e ai continui crimini israeliani resiste in una quotidianità fatta anche di arte che sfida la tragedia senza farsene travolgere, è abbastanza frequente imbattersi in iniziative culturali promosse da una delle tante associazioni che sono l’esempio vivente della forza della vita contro la morte. E’ quasi come assistere in diretta alla lotta tra un Eros prepotentemente in contrasto con un Thanatos che non è solo morte diretta portata dalle uniformi con la stella di David, ma è quella pulsione di morte dovuta alla combinazione di fattori che fanno di Gaza una realtà difficile da definire senza cadere nel manicheismo.
Una delle tante, veramente tante espressioni di questa lotta vincente di Eros contro Thanatos è stata l’inaugurazione della mostra del pittore Kamel Al Mughanni in commemorazione del decimo anniversario della sua scomparsa, organizzata dall’associazione Al Sununu la cui direttrice, Arab Mohammed, è una donna il cui carisma si percepisce al primo sguardo. Al Sununu si occupa prevalentemente di formazione musicale ed è frequentata da 800 ragazzi che studiano strumenti musicali e canto, ma non tralascia altre espressioni artistiche sia a livello formativo che divulgativo. La rassegna delle opere di Al Mughanni rientra in quest’ultimo campo ed è stata ospitata dal Centro cristiano YMCA. Questo è un altro degli aspetti non ben conosciuti in Occidente, perché i media tendono a far credere che cristiani e musulmani vivano vite separate e conflittuali, al contrario di quanto invece avviene nella realtà essendo comunque entrambi palestinesi.
Il muro di cinta della struttura cristiana che ospita la mostra è affrescato da graffiti che parlano chiaro a chi sta entrando: all’occupante si resiste come si può. Non c’è né croce né mezzaluna nei graffiti, ma solo la kefia, simbolo palestinese tout court. Nel giardino dove tutto è pronto per l’esibizione musicale all’aperto del coro dei giovanissimi di Al Sununu tutte le sedie sono già occupate e c’è molta gente in piedi. Dopo circa 60 minuti di concerto corale intervallato dal saluto delle figure istituzionali e dagli organizzatori viene aperto il salone della mostra.
Fermarsi più di 30 secondi davanti ad ogni quadro è praticamente impossibile, tanta è la gente di tutte le età che affolla le sale per ammirare le opere di uno dei tanti artisti della resistenza. Uno di coloro che senza porre l’arte a servizio dell’impegno politico, ha saputo fare dell’impegno politico e della realtà vissuta un’eco artistica.
Le foto non restituiscono la ricchezza visiva di alcuni quadri in cui il pittore ha usato materiali diversi da quelli tradizionali, come filati e tessuti pregiati che rendono irresistibile il desiderio di toccare le opere da parte di alcuni visitatori. Non è una buona cosa, ma dà il senso del feeling che si crea tra le opere di Al Mughanni e i visitatori.
I temi che si ritrovano in modo più o meno esplicito in tutti i suoi quadri sono i simboli della terra e della resistenza, la denuncia dell’occupazione e i ricordi degli anni di prigione, che in forma sostanzialmente onirica affiorano in molte sue opere. Forse è per questo che diversi visitatori, compreso il nostro accompagnatore, percepiscono in alcune delle opere esposte un trascorso comune, un trascorso che per alcuni di loro si è protratto anche per venti anni. Sono gli anni passati nelle prigioni israeliane per essersi opposti all’occupazione. Qui in Palestina è fatto comune passare per le galere israeliane, e il numero dei prigionieri politici oscilla regolarmente tra i 6 e 7mila compresi centinaia di bambini il che, su una popolazione di circa 5 milioni, rappresenta una percentuale davvero impressionante. Questo dovrebbe interrogare il mondo sull’essenza dello Stato di Israele e sulla sua illegalità rispetto al diritto internazionale. Ma il mondo non si interroga. Forse anche per questo l’arte palestinese riflette quasi sempre, sebbene in forme diverse, il tormento del vivere sotto un’occupazione che il mondo, sostanzialmente e colpevolmente, sostiene.
Al Mughanni nacque proprio qui a Gaza city, nel quartiere di Shuajaia, nome quasi impronunciabile per un occidentale, ma rimasto impresso nella memoria di molti per gli effetti particolarmente devastanti provocati dalle tonnellate di bombe scaricategli addosso nel 2014 dall’aviazione israeliana. Qui una trentina di anni fa il pittore fondò l’Associazione Artisti di Gaza che lasciò un segno significativo. Anche a Nablus lasciò la sua impronta fondando, più o meno nello stesso periodo, la scuola di Belle Arti nell’Università di An Najah, una delle più prestigiose della Palestina.
Una parte della sua ricca produzione, quella che si trova esposta nella mostra che stiamo visitando, appartiene prevalentemente alla fase del folklore, periodo in cui l’autore sceglie di rappresentare gli elementi della quotidianità elevandoli a simbolo antropologico della vita palestinese sulla sua terra: le donne negli abiti tradizionali, il cavallo, le caffettiere tipiche dell’accoglienza, le colombe, le vele di un simbolico ritorno e, come costante riferimento, la cupola d’oro di Gerusalemme, simbolo prioritario del suo essere musulmano e palestinese.
Tutti gli interventi ricordano che Al Mughanni è stato un grande artista e un grande palestinese e questo lo dimostra la grande partecipazione di pubblico e i commenti che ci raggiungono qua e là durante la visita. Prima di uscire, il governatore di Gaza, l’ex-generale Ibrahim Al Najjah, attorniato da notabili e giornalisti trova un minuto per ringraziare chi è venuto dall’estero “sopportando le difficoltà e i disagi cui è sottoposta la Striscia”. Alle sue parole non possiamo che sorridere pensando ai disagi veri che non sopportiamo noi bensì la popolazione gazawi la quale, incredibilmente, riesce a esprimere arte, cultura e bellezza. Nonostante tutto. Nena News
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