Almeno 14 vittime in due esplosioni nella capitale irachena. Il governo tenta la pacificazione interna e promette la campagna via terra contro il califfato. I kurdi liberano un terzo dei villaggi occupati dall’Isis.
della redazione
Roma, 9 febbraio 2015, Nena News – Due esplosioni all’alba di questa mattina hanno ucciso 14 persone a Baghdad, 46 i feriti. Il primo attentatore si è fatto saltare in aria in piazza Adan, al centro del quartiere sciita di Kadhimiya, mentre la seconda bomba ha colpito il quartiere sciita di Husseiniyah.
Nonostante l’incontenibile violenza che sta insanguinando la capitale, il governo ha deciso sabato scorso di sospendere il coprifuoco notturno che durava dall’invasione statunitense del paese, nel tentativo di normalizzare la vita in città. Una decisione accolta con gioia dai cittadini di Baghdad che domenica hanno preso d’assalto le strade della capitale sventolando bandiere, infilandosi in rumorosi caroselli, suonando il clacson e ballando per le strade.
Eppure il giorno prima a poche ora dalla fine del coprifuoco 37 persone erano state uccise da un’altra serie di attacchi. Il coprifuoco che vigeva sulla capitale dalla mezzanotte alle 5 del mattino non ha mai impedito le violenze: la maggior parte degli attacchi venivano compiuti nel tardo pomeriggio e a mezzogiorno, nelle ore di punta. Nella convinzione del premier al-Abadi migliorare la qualità della vita nella capitale potrebbe limitare l’influenza di gruppi estremisti come l’Isis, che mirano alla polarizzazione dei settarismi già esistenti e già radicati in tutto il paese.
Una politica di pacificazione interna che viene portata avanti dal nuovo governo soprattutto nell’esercito: la tanto attesa legge per la formazione di unità sunnite da integrare a quelle governative ma organizzate a livello locale è stata approvata, anche dietro le pressioni Usa. Washington non ha mai nascosto l’intenzione di voler trasformare l’Iraq in uno Stato federale, diviso in tre entità etniche e religiose (curdi, sunniti e sciiti): la presenza di tre forze militari distinte, ma alleate – i peshmerga in Kurdistan, l’esercito ufficiale sciita e le unità militari sunnite – sono un primo passo verso la realizzazione di un simile obiettivo.
Resta da vedere chi prenderà parte all’annunciata offensiva via terra contro lo Stato Islamico: a parlarne è stato l’inviato Usa John Allen che in un’intervista con una tv giordana ha anticipato l’intenzione del governo iracheno di procedere con “una campagna via terra per riprendersi il paese”, sostenuto dai raid della coalizione. La mossa segue all’intensificazione delle operazioni della Giordania contro il califfato, reazione scatenata dalla morte del pilota al-Kasasbeh. Obiettivo di re Abdallah non è tanto vendicare il pilota, quanto evitare un rafforzamento delle simpatie pro-Isis nel paese e tenere a bada le tribù, estremamente critiche nei confronti della decisione della monarchia di prendere parte alla coalizione.
In pochi giorni, dallo scorso giovedì, l’aviazione giordana ha compiuto 56 raid aerei tra Siria e Iraq ricevendo l’atteso plauso della Casa Bianca. Secondo le autorità giordane le attività militari hanno permesso di distruggere il 20% del potenziale militare dello Stato Islamico. Se così fosse, i dati che qualche settimana fa erano stati snocciolati dal Pentagono – che aveva candidamente ammesso di aver strappato all’Isis solo l’1% dei territori occupati in 6 mesi di raid – appaiono ancora più ridicoli. Ma resta difficile immaginare che in soli 4 giorni Amman sia riuscita in tale impresa e che da quando ha aderito alla coalizione ha ucciso 7mila miliziani (i dati Usa parlano di 6mila miliziani uccisi in totale).
La guerra della propaganda è tra le più pericolose nel teatro di conflitto mediorientale. Mentre la popolazione di Siria e Iraq soffre per l’avanzata dell’Isis o muore per le bombe della coalizione, gli attori regionali cercano di ottenere il massimo dalla guerra al terrore. Chi evita i grandi annunci e la propaganda spicciola è Rojava, unica a aver saputo frenare l’Isis: dopo la liberazione di Kobane, le forze kurde delle Unità di Protezione Popolare hanno riassunto il controllo oltre un terzo dei villaggi intorno la città: “Le Ypg anno ricatturato 128 villaggi su 350 nelle ultime due settimane”, ha fatto sapere l’Osservatorio Siriano per i diritti umani. Nena News