In pochi giorni il regime di Riyadh ha messo dietro le sbarre le più note attiviste del paese, accusandole di tradimento. Le riforme di bin Salman restano uno specchietto per le allodole: la discriminazione strutturale rimane pilastro del regno
della redazione
Roma, 21 maggio 2018, Nena News – Mancano poche settimane al 24 giugno e all’attesa entrata in vigore della legge che autorizza anche le donne saudite a guidare. Ma il regno non è cambiato affatto, come provano a dire in tanti, consapevoli della permanenza di un regime dittatoriale e discriminatorio. Dal 15 maggio ad oggi sono almeno sette le attiviste arrestate in Arabia Saudita per l’attività di difesa e promozione dei diritti delle donne.
Tra le arrestate ci sono Eman al-Nafjan, nota blogger, e Lujain al-Hathloul, famosa attivista già detenuta per 75 giorni per aver tentato di guidare dagli Emirati Arabi al territorio saudita. Al-Hathloul non è stata autorizzata a parlare con la famiglia e l’avvocato, mentre al-Nafjan ha potuto farlo solo una volta. Di accuse ufficiali non ce ne sono, ci si può rifare solo alle indiscrezioni della stampa saudita che parla di tradimento: sarebbero state fermate per aver attentato all’unità del paese.
Nel corso dell’ultima settimana in prigione sono finite anche Aziza al-Yousef e Aisha Almane, insieme ad altri quattro attivisti. Per loro l’accusa è di aver avuto “contatti sospetti con entità straniere in sostegno delle loro attività, di reclutamento di persone in posizioni strategiche al governo e di fornire sostegno finanziario a elementi ostili fuori dal paese”. Accuse piuttosto nebulose che sottendono al fastidio per qualsiasi forma di dissidenza e critica contro la casa regnante: le donne intendevano “destabilizzare il regno e distruggere la sua struttura sociale”, il commento del portavoce governativo saudita.
A denunciare gli arresti è Human Rights Watch: “La ‘campagna di riforme’ del principe ereditario Mohammed bin Salman rappresenta un’ondata di paura per i veri riformatori sauditi che osano parlare pubblicamente di diritti umani e diritti delle donne – ha detto Sarah Leah Whitson, direttrice di Hrw per il Medio Oriente – Il messaggio è chiaro: chiunque esprima scetticismo sull’agenda dei diritti del principe affronta la prigione”.
Le attiviste sarebbero state da tempo minacciate, dicono altre donne attive nel campo dei diritti umani, e infine arrestate senza ordine della magistratura. I loro telefoni erano sotto controllo, aggiungono, e gli era vietato lasciare il paese.
La loro colpa è un’altra: essere da anni impegnate nel riconoscimento della donna come cittadina con pieni diritti, uguali a quelli goduti dagli uomini. Non solo il diritto di guidare, ma quello a esercitare a pieno la propria volontà, la propria libertà di scelta in ogni aspetto della vita. Al centro non sta una patente, ma la soppressione del sistema del guardiano, odiosa pratica che in Arabia Saudita è istituzionalizzata al fine di mantenere la donna in una posizione di inferiorità strutturale: per studiare, viaggiare, lavorare, sposarsi o divorziare, uscire di casa, curarsi e anche uscire di prigione, le donne saudite necessitano del permesso di un uomo, che sia il padre, il fratello o il marito.
Una discriminazione strutturale che si fonda su una piramide di diritti, volta a opprimere e controllare ogni settore della società considerato inferiore e/o pericoloso. Che si tratti di donne, minoranza sciita, lavoratori migranti, dissidenti. Una realtà invisibile agli occhi dei governi occidentali che non solo mantengono normali rapporti con l’Arabia Saudita, al centro di molte alleanze politiche, militari ed economiche, ma che esaltano da mesi il presunto programma di riforme di Mohammed bin Salman, mero specchietto per le allodole. Nena News