La Ong internazionale accusa il regime siriano di Bashar al-Asad per la sparizione di almeno 65.000 siriani. Esperti di armi chimiche, intanto, denunciano l’uso di gas mostarda in un combattimento avvenuto lo scorso agosto tra lo Stato islamico e i ribelli a nord di Aleppo
della redazione
Roma, 6 novembre 2015, Nena News – Il governo siriano avrebbe fatto sparire almeno 65.000 persone dall’inizio delle proteste anti-regime del marzo del 2011. A rivelarlo è un rapporto della ong Amnesty International (AI) pubblicato ieri. Secondo l’organizzazione non governativa internazionale, questo dato “riflette una pianificata campagna di sparizioni forzate” portata avanti dall’apparato di sicurezza siriano ed è “un attacco organizzato contro la popolazione civile locale”, azioni, queste, che sono considerate crimini contro l’umanità. Amnesty ha esortato pertanto gli stati membri dell’Onu a indagare sulle violazioni della legge internazionale commesse in Siria presso la Corte penale internazionale (Cpi). Il documento della Ong, però, ha il grosso limite di sorvolare sui crimini, non meno peggiori se non in alcuni casi simili, commessi da gruppi non statali (anche quelli della cosiddetta opposizione “moderata” sostenuta dall’Occidente) già denunciati in passato da altri organismi internazionali.
Tra i casi di sparizione riportati da AI vi è il caso di Rania al-Abbasi e Abdul Rahman Yasin, una coppia con sei figli scomparsa nel nulla nel marzo 2013. Il loro arresto, compiuto dall’Intelligence siriana, non è mai stato motivato dalle autorità locali sebbene si creda che alla base della detenzione di Rania vi sia il suo sostegno ai terroristi” (nel linguaggio di Damasco la quasi totalità dell’opposizione).
Secondo Amnesty, tutti i 4 rami dell’apparato di sicurezza siriano (l’intelligence militare, quella aerea, la sicurezza politica e generale) sono responsabili delle sparizioni di cittadini (58.148 stando ai dati del gruppo di monitoraggio “Newtork siriano per i diritti umani”). Accanto alle unità direttamente sotto il controllo del presidente siriano, a compiere questi arresti/rapimenti sono anche le Forze di Difesa Nazionale (Ndf) vicine all’Iran e gli shabeeha, milizie armate affiliate al governo che hanno acquistato notevole visibilità per la brutale repressione operata dai loro effettivi soprattutto nelle fasi iniziali delle proteste anti-regime. Amnesty cita il caso del paniettiere aleppino Hassan Jweyd che è stato arrestato nell’aprile del 2012 e che sarebbe ora in qualche ignota struttura detentiva a Damasco. Jweyd guidava i cori anti al-Asad nelle manifestazioni che ebbero luogo nel suo quartiere.
Di fronte al dramma e alla sofferenza di familiari preoccupati per il destino sconosciuto riservato ai loro cari, vi è lo sciacallaggio di avidi “mediatori”. Questi sensali di vite umane – generalmente vicini alle autorità – “comprano e vendono informazioni sul destino dei detenuti” scrive il documento della ong. Amwar al-Bunni, un avvocato siriano specializzato nel campo dei diritti umani e che ora risiede in Turchia, ha detto ad AI che “in ogni quartiere ci sono diversi mediatori”. Il costo per una informazione può variare da poche centinaia di dollari e decine di migliaia sebbene il “servizio” offerto da queste gole profonde non sia assolutamente garantito. Molte persone intervistate da Amnesty hanno infatti raccontato di non aver ricevuto informazioni accusate sui i loro cari arrestati.
Alcune famiglie possono considerarsi “fortunate” perché, almeno, sono riuscite a sapere qualcosa dei loro parenti arrestati grazie alle oltre 50.000 mila foto contrabbandate fuori dal Paese da un dissidente soprannominato Cesar. L’ex servitore del regime siriano avrebbe documentato migliaia di casi di torture avvenute nelle celle di stato. Ma sono pochi ad aver goduto di questo “privilegio”. La maggior parte, conclude il rapporto, aspetta con ansia di sapere almeno se sono vivi. Un’attesa snervante che spesso non ha mai fine.
Intanto, un report confidenziale rilasciato alcuni giorni fa dall’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opcw) e pubblicato in parte dalla Reuters, sostiene che il 21 agosto scorso sarebbe stato usato del gas mostarda nella città siriana di Marea (nord di Aleppo) dove i miliziani dello Stato islamico (Is) stavano combattendo contro un gruppo ribelle.Il documento dell’Opcw non spiega chi delle due parti sia stato ad utilizzarlo, ma afferma che il suo rilascio avrebbe causato almeno la morte di un bambino. Nena News
Ma forse se li vanno a cercare tra le file dei cosiddetti “ribelli” e/o tra le file dell’Isis li trovano o -almeno- ne trovano una buona parte!