Storici e archeologi dimostrano quanto l’islam sia parte integrante dell’identità del paese
![La città portoghese di Mertola mostra la storica coesistenza tra cristiani, ebrei e musulmani in Portogallo [Foto: Marta Vidal/Al Jazeera]](http://nena-news.it/wp-content/uploads/2020/06/Portogallo.jpg)
La città portoghese di Mertola mostra la storica coesistenza tra cristiani, ebrei e musulmani in Portogallo [Foto: Marta Vidal/Al Jazeera]
* (Traduzione di Valentina Timpani)
Roma, 23 giugno 2020, Nena News – Dopo essere fuggito dalla guerra in Iraq, dove è nato, il trentatreenne Mustafa Abdulsattar ha rischiato la vita con un pericoloso viaggio in barca dalla Turchia alla Grecia. Una volta arrivato in Grecia, gli hanno offerto di essere ricollocato in Portogallo, un paese di cui sapeva ben poco. Ma dove è riuscito a trovare dei tratti familiari. “Ho trovato molte parole comuni”, spiega prima di iniziare a elencarle. Alcune sono legate al cibo, altre a città o regioni. Poi c’è l’espressione “oxala” (pronunciata oshallah), discendente diretta dall’arabo “inshallah”. Entrambe significano “se Dio vuole”.
Non più stranieri
Non dovrebbe sorprendere troppo la possibilità di trovare ancora influenze arabe nella lingua portoghese. Per secoli, questa zona fu governata da musulmani arabofoni detti mori.
Nell’VIII secolo, i musulmani salparono dal Nord Africa e presero il controllo di quelli che sono ora il Portogallo e la Spagna. Chiamata in arabo al-Andalus, questa area venne annessa all’Impero degli Omayyadi, che si stava espandendo, e prosperò sotto il dominio musulmano. Ma di questa eredità ci si è ampiamente dimenticati nel paese a predominanza cattolica.
Nelle scuole portoghesi, i cinque secoli di dominio musulmano si studiano solo brevemente. I libri di testo pongono maggiore enfasi su una trionfante “riconquista” del territorio, completata nel XIII secolo, da parte di dominatori cristiani, aiutati dai crociati.
Da allora, l’identità portoghese è stata costruita in opposizione ai mori, storicamente rappresentati come nemici. Ma non tutti sono d’accordo con questa versione della storia.
“Una gran parte della popolazione si convertì all’islam”, spiega Filomena Barros, una docente di storia medievale all’Università di Evora.
Degli studi hanno dimostrato che nel X secolo, metà della popolazione della penisola iberica era musulmana.
Per Barros, i musulmani che vennero dal Nord Africa non erano più stranieri dei re e degli eserciti cristiani che venivano dal Nord Europa e che conquistarono il territorio prima e dopo di loro.
“La penisola iberica continuò a essere conquistata”, dice. “È interessante che non parliamo di conquista romana, o di conquista dei visigoti, ma parliamo sempre di conquista islamica”.
Prima che arrivassero gli eserciti musulmani, l’area era dominata dai visigoti, un popolo germanico che governò dal 418 al 711.
I libri di storia enfatizzano le battaglie combattute dai dominatori cristiani contro quelli musulmani, ma la sconfitta degli eserciti islamici non corrisponde alla fine della presenza musulmana in Portogallo.
“La riconquista cristiana non significa che i musulmani tornarono nelle loro terre, perché quella terra era anche loro”, dice la storica.
Al giorno d’oggi, tuttavia, meno dello 0,5% della popolazione – di undici milioni – è islamica, e pochi sanno che i musulmani una volta ne costituivano una porzione molto più ampia.
“Quello che viene insegnato a scuola è sempre insegnato dalla prospettiva dei [vincitori]”, dice la trentenne Noor-ayn Sacoor. Nata in Portogallo da genitori di origini indiane e arabe, Sacoor è membro della comunità musulmana di Lisbona.
Le sarebbe piaciuto che i programmi scolastici coprissero meglio il lungo periodo di coesistenza tra musulmani, cristiani ed ebrei, che si crede spesso sia la ragione per cui l’area è prosperata come centro di scienza e cultura.
“Vorrei che ci si focalizzasse di più sull’eredità lasciata dal dominio musulmano, non è molto conosciuta in Portogallo”, riflette.
Costruire un’identità europea
A tutti gli studenti che frequentano le scuole portoghesi viene fatto leggere I Lusiadi, un poema epico risalente al XVI secolo del poeta portoghese Luis Vaz de Camões che celebra la gloria dei re e degli esploratori portoghesi ai tempi dell’espansione imperiale.
Il poema racconta la storia del primo viaggio in mare verso l’India del navigatore Vasco da Gama e del suo incontro con i musulmani, che vengono descritti come subdoli e infidi.
Celebrato come un eroe nazionale per aver aperto la rotta marina verso l’India, che diede al Portogallo accesso al commercio di spezie, controllato fino ad allora dai mercanti arabi, da Gama è stato anche accusato di aver portato avanti una campagna di terrore contro i musulmani nella battaglia per il controllo del commercio marino.
Per vendicarsi degli attacchi contro i portoghesi, da Gama prese in ostaggio una nave con a bordo duecento pellegrini musulmani che stavano tornando da La Mecca e gli diede fuoco, uccidendone centinaia. Ma massacri come questi non sono menzionati ne I Lusiadi, né nei libri scolastici portoghesi, in cui i musulmani vengono incolpati per la maggior parte degli attacchi.
Ampiamente considerato come uno dei più grandi poeti portoghesi, Camões viene commemorato il 10 giugno durante una festa nazionale chiamata il Giorno del Portogallo.
Questo giorno di festa veniva prima chiamato “Giorno della Razza Portoghese”, ed era promosso dal nazionalista conservatore Antonio de Oliveira Salazar, dittatore dal 1933 al 1968, come celebrazione nazionale. Continuò fino alla fine del regime autoritario che aveva istituito, l’ “Estado Novo”, nel 1974.
Con il cattolicesimo alla base delle narrazioni nazionaliste, la dittatura ultraconservatrice ha rappresentato i musulmani come invasori e “nemici della nazione cristiana”.
“Camões non è responsabile dell’appropriazione del suo lavoro da parte del nazionalismo”, dice Barros. “Rimane uno dei più grandi poeti portoghesi”. Ma, la storica aggiunge che I Lusiadi era il prodotto di una costruzione ideologica di quel periodo dell’identità europea in opposizione ai musulmani, e di una mentalità da crociata che ha raffigurato la relazione tra cristiani e musulmani in termini di conflitto.
Secondo Barros, quando il poema fu scritto, l’impero ottomano rappresentava una minaccia per l’egemonia dei governatori cristiani d’Europa.
Durante il XV e XVI secolo, i re portoghesi continuarono a espandersi in Nord Africa, dove istituirono basi militari e intrapresero guerre. Ciò continuò fino alla disastrosa sconfitta del 1578 nella città marocchina Ksar el-Kebir (conosciuta in portoghese col nome Alcacer Quibir) che pose fine alle ambizioni espansionistiche del Portogallo in Nord Africa.
I mori divennero in Portogallo lo stereotipo dell’“altro” mentre l’identità europea prendeva forma in opposizione all’islam. Nonostante il termine “mori” si riferisca tradizionalmente ai musulmani arabofoni del Nord Africa, questa etichetta fu spesso usata per riferirsi in senso più ampio ai musulmani, riducendo la loro diversità a una massa di alterità.
Le narrazioni nazionaliste costruite sull’identità cattolica sorvolano secoli di coesistenza tra musulmani, ebrei e cristiani in quelli che sono oggi Portogallo e Spagna. Barros spiega che, contrariamente alle versioni dominanti della storia e dei miti di vecchia data, i musulmani non erano estranei.
“È pericoloso appropriarsi di ciò in favore di una propaganda nazionalista”, aggiunge la storica, specialmente alla luce dell’ascesa dell’estrema destra in tutta Europa.
L’Estado Novo portoghese fu rovesciato dalla Rivoluzione dei Garofani del 1974, ma alcune delle vecchie narrazioni ancora persistono.
Nel 2019, un partito di estrema destra appena nato ha vinto un seggio al parlamento portoghese per la prima volta dalla fine del governo di Salazar. Il partito ha proposto di escludere “l’insegnamento dell’islam” dalle scuole pubbliche, e ha enfatizzato il bisogno di combattere il “fondamentalismo islamico” e di difendere i confini europei da un’invasione proveniente dal sud del Mediterraneo.
Cancellare la storia ebrea e musulmana del Portogallo
Nel 1249, Alfonso III Re del Portogallo conquistò Faro, l’ultima roccaforte in Algarve. La maggior parte dei musulmani presenti vennero uccisi, scapparono nei territori controllati dai musulmani o si convertirono al cristianesimo, ma a una piccola minoranza fu permesso di restare in zone segregate.
Nel 1496, Re Manuele I decise di espellere tutti gli ebrei e i musulmani, rendendo il regno esclusivamente cristiano.
Non ci sono dati esatti, ma le stime collocano il numero di ebrei del tempo tra i 20.000 e i 100.000, e si pensa che la comunità musulmana sia stata notevolmente minore. Dopo che furono espulsi, sinagoghe e moschee vennero distrutte, date in mano alla chiesa cattolica o trasformate in abitazioni private, nel tentativo di cancellare il passato diverso e secoli di presenza ebrea e musulmana.
L’espulsione della minoranza ebrea è stata riconosciuta dal governo portoghese attraverso scuse pubbliche e una legge del 2015 che offre la cittadinanza portoghese ai discendenti degli ebrei che vennero espulsi. Eppure ai musulmani che vennero cacciati dallo stesso editto del 1496 non sono state concesse le stesse cortesie.
Jose Ribeiro e Castro, un politico conservatore che ha fatto il disegno di legge della restituzione ha detto all’inizio di quest’anno che “l’espulsione dei musulmani ha più a che fare con le conquiste e le battaglie che [con l’] intolleranza religiosa”.
A causa del presunto background di conflitto, i politici hanno sostenuto che l’espulsione dei musulmani portoghesi non poteva essere paragonata alla persecuzione degli ebrei, che era invece basata esclusivamente su odio e intolleranza.
Quando alle minoranze religiose vennero date tre scelte – convertirsi al cristianesimo, lasciare il Portogallo o andare incontro alla pena di morte – la maggior parte dei musulmani scappò in Nord Africa, integrandosi alle popolazioni locali.
Alla maggioranza della popolazione ebrea, tuttavia, non fu permesso di lasciare il regno, nel momento in cui Re Manuele trasformava quello che inizialmente era l’editto di espulsione in un editto di conversione forzata. Alcuni bambini ebrei vennero tolti ai genitori e adottati da famiglie cristiane. Gli ebrei restanti furono battezzati con la forza.
Gli storici credono che ai musulmani fu permesso di abbandonare il regno illesi probabilmente perché il re temeva ritorsioni da parte degli stati islamici, mentre gli ebrei non avevano una protezione simile.
Coloro che furono convertiti con la forza ebbero il permesso di lasciare il Portogallo solo dopo il massacro di Lisbona del 1506, quando tra 1000 e 4000 “nuovi cristiani”, come venivano chiamati gli ebrei convertiti, furono uccisi, molti dei quali bruciati sul rogo.
Tanti scapparono nell’impero ottomano, fondando vivaci comunità ebree in città come Salonicco, Instanbul e Dubrovnik.
I nuovi cristiani che rimasero in Portogallo continuarono a essere perseguitati dopo l’istituzione dell’Inquisizione portoghese nel 1536.
Le leggi di restituzione del 2015 sono state un modo per riconoscere il male fatto alla comunità ebrea in Portogallo e la cancellazione della loro eredità.
Riparazione storica
Nonostante ai musulmani non sia stato concesso un risarcimento nella forma di diritti di cittadinanza, un interesse crescente nel passato islamico del Portogallo sta lentamente aprendo la strada a un tipo diverso di riparazione storica.
Proprio come Mustafa Abdulsattar, lo scrittore portoghese Adalberto Alves ha fatto una lista di parole portoghesi che vengono dall’arabo. Quella che era iniziata come una mera curiosità si è trasformata in un progetto decennale che ha portato alla pubblicazione nel 2013 di un dizionario di più di 19.000 parole ed espressioni portoghesi di origine araba.
“Volevo superare il ‘cliché’ dell’antagonismo tra cristiani e musulmani e l’oblio riguardo la civiltà andalusa”, spiega Alves.
Il suo obiettivo era evidenziare la comune eredità culturale e dare visibilità alla presenza, a lungo dimenticata, dei musulmani e al loro contributo all’identità e alla storia della nazione. Alves ha voluto dimostrare che l’ “altro” è in realtà parte del sé.
Alves crede che l’eredità culturale e intellettuale proveniente dall’Islam debba ancora essere riconosciuta in Europa, dato che i musulmani sono stati tenuti fuori dalla scrittura della storia europea.
Per correggere questa cancellatura storica, Alves ha passato gli ultimi trentacinque anni documentando le influenze degli al-Andalus in Portogallo – dalla poesia e la lingua alla musica, la tessitura dei tappeti e i dolci, i comignoli a forma di minareto. I suoi sforzi sono stati riconosciuti dall’UNESCO con il premio Sharajah per la cultura araba nel 2008.
L’eredità lasciata dai musulmani è più ampia di quanto si possa immaginare, spiega Alves, facendo notare come l’impero portoghese dipendesse dalle scienze della navigazione sviluppate dagli arabi. Si crede che anche Vasco da Gama, il cui epico viaggio è così largamente celebrato in Portogallo, avesse fatto affidamento su un pilota musulmano per raggiungere l’India.
Ma è stato forse con la poesia che Alves ha più contribuito a cambiare il modo in cui l’eredità islamica è percepita in Portogallo. Con la sua raccolta e traduzione in portoghese di poesia araba risalente al periodo Andalus, poeti come al-Mu’tamid, l’ultimo governatore musulmano di Siviglia e uno dei poeti andalusi più celebrati, saranno conosciuti come poeti “locali”. Quest’anno, una mostra tenuta alla biblioteca nazionale di Lisbona celebra il lavoro sia di Alves che di al-Mutamid.
“Ho dedicato gran parte della mia vita a tentare di rendere giustizia al grande poeta e re al-Mutamid ibn Abbad”, dice Alves, “forse perché abbiamo origini nella stessa città, Beja”.
Vicina alla città meridionale di Beja, in una zona dove l’influenza dell’Islam è più evidente, un altro progetto pioneristico sta confutando lo stereotipo dell’invasore arabo-musulmano e recuperando il passato islamico come un elemento fondamentale dell’identità e dell’eredità portoghese.
Un mediterraneo condiviso
È iniziato tutto con i pezzi di una ceramica rotta trovati sotto un albero di fichi a Mertola, un paesino sulle rive del fiume Guadiana.
L’archeologo Claudio Torres ha visitato per la prima volta il paese reduce da whitewashing nel 1976 con lo storico Antonio Borges Coelho. Professore all’epoca di storia medievale all’Università di Lisbona, Torres era stato invitato a Mertola da uno dei suoi studenti. Torres e Coelho inciamparono su delle ceramiche islamiche vicino al castello medievale del paese.
Torres, che ha ora ottantuno anni, decise di iniziare a scavare. Nel 1978 fondò il campo archeologico di Mertola e si trasferì con la sua famiglia nella tranquilla cittadina.
“Mertola non ci fa vedere le battaglie”, spiega il ricercatore Virgilio Lopes, che lavora al sito archeologico da trent’anni. “Ci fa vedere come le persone vivevano insieme. Sotto queste rocce, c’è una straordinaria idea di coesistenza”.
Vicino al castello medievale c’è una chiesa con archi a ferro di cavallo, un interno a volta e un mihrab – una cavità semicircolare nel muro di una moschea che indica la direzione della preghiera – dietro l’altare principale della chiesa.
Gli archeologi hanno trovato tracce della comunità ebrea e hanno scoperto che la chiesa sta su quello che una volta era un tempio romano e poi una moschea.
“Comunità diverse hanno vissuto insieme qui fino alla fine del XV secolo”, spiega Susana Martinez, ricercatrice al campo archeologico di Mertola e docente di storia medievale e di archeologia all’Università di Evora.
“L’espulsione di ebrei e musulmani spezza il lungo periodo di coesistenza, dato che il cristianesimo impone dal nord la sua fede a tutti”, aggiunge.
Gli archeologi hanno scoperto a Mertola un passato di coesistenza che ha sfidato il modo in cui la storia viene raccontata in Portogallo. Torres crede che l’Islam si diffuse in quella regione grazie a secoli di commercio e relazioni economiche e non come il risultato di una conquista violenta.
Ciò potrebbe spiegare perché, dopo la prima vittoria nel 711 quando un esercito arabo e amazigh guidato da Tariq ibn-Ziyad attraversò lo stretto di Gibilterra partendo dal Nord Africa e prese il controllo del sud della penisola iberica, i musulmani riuscirono a conquistare gran parte del territorio con poca difficoltà. Le generose condizioni di resa significavano anche che c’erano più capitolazioni pacifiche che battaglie violente, permettendo così ai musulmani di controllare gran parte di quelli che sono ora Portogallo e Spagna in soli pochi anni.
“Le grandi rotture che ci insegnano a scuola non sono realmente accadute”, spiega Lopes. “Mertola è importante perché ci mostra le continuità, i momenti in cui le religioni coesistono, le connessioni tra i popoli”.
In un tempo di irrigidimento dei confini e di divisioni rigide tra il nord e il sud del Mediterraneo, è difficile immaginare che il mare fungeva un tempo da connettore. Ma questo è quello che hanno scoperto gli archeologi a Mertola. Nonostante le divisioni create dal nazionalismo, le due coste del Mediterraneo condividono una storia e una cultura comuni.
“Non dovremmo guardare al sud del Mediterraneo come se fosse un confine che ci divide”, dice Lopes. “Queste persone sono anche le nostre persone. Geneticamente e culturalmente, siamo molto vicini”.
Il focus sulle continuità nel Mediterraneo ha contribuito alla messa in discussione della storiografia nazionalista dominante che rappresenta i musulmani come gli “altri”, ma ci vuole tempo per cambiare profondamente idee radicate sulla storia e l’identità nazionale.
“Dobbiamo continuare a raccontare le storie delle continuità”, dice Martinez. “Non la storia delle élite e delle loro battaglie, ma le storie delle persone comuni e del modo in cui interagivano, del modo in cui condividevano modi simili di vivere. Queste storie sono un modo potente di decostruire stereotipi e pregiudizi che potremmo avere in relazione agli altri”.
Ma forse niente racconta la storia della continuità e di un Mediterraneo condiviso così chiaramente come lo fa l’esperienza personale di Claudio Torres.
Negli anni ‘60 del Novecento Torres era uno studente e dissidente che fu arrestato e torturato dal regime autoritario. Quando gli arrivò la lettera di arruolamento per servire nella guerra coloniale portoghese, decise di scappare.
Non potendosi permettere i soldi richiesti dai contrabbandieri per raggiungere la Francia, scappò dal Portogallo su un piccolo motoscafo diretto in Marocco. Dato che c’erano altri portoghesi a bordo che fuggivano dalla guerra e dalla dittatura portoghesi, la barca rischiò di affondare in un viaggio pericoloso non molto diverso dall’attraversamento in mare intrapreso da Mustafa Abdulsattar, quasi sessanta anni dopo.
“Al giorno d’oggi, ogni giorno, ci sono viaggi come quello”, dice Lopes. “Ma abbiamo dimenticato che soli pochi decenni fa eravamo noi quelli che attraversavano il mare”. Nena News