Malgrado l’enfasi data alla notizia, la morte un mese fa di Droukdel non comporterà uno spostamento significativo dell’equilibrio di potere, né un indebolimento dei gruppi jihadisti del Sahel. Gli interessi italiani in quella regione
di Federica Iezzi
Roma, 3 luglio 2020, Nena News – Lo scorso 5 giugno AFRICOM (United States Africa Command) ha confermato la notizia della morte Abdelmalek Droukdel in un’operazione a guida francese nella città maliana di Talhandak, vicino a Tessalit. La morte di Droukdel è stata subito descritta come un duro colpo per al-Qaeda nella regione ma la provata adattabilità dell’organizzazione jihadista indica la sua capacità non solo di sopravvivere ma anche di continuare a guadagnare terreno in tutto il Sahel.
Diversi veterani di AQIM sono in linea per la successione al potere, incluso il leader del Council of Notables, Abu Ubaydah Yusef al-Annabi.
Senza dubbio la questione della successione di Droukdel solleva diversi problemi, non ultimo quello riguardanti le dinamiche etniche dello stesso AQIM, tra i vari gruppi regionali affiliati ad al-Qaeda. La leadership di AQIM è sempre stata algerina. Un cambiamento drastico potrebbe avere l’effetto di limitare l’influenza del gruppo in tutto il Sahel, poiché il conflitto si sta spostando dall’Algeria a sud, verso il Mali centrale e altri stati confinanti. Cellule indipendenti come il Group to Support Islam and Muslims (GSIM) e l’Islamic State in Greater Sahara (ISGS) hanno finora condotto frequenti attacchi a civili, a truppe armate straniere e locali e a strutture governative. Ma ciò ha avuto riflessi modesti sulla compattezza di AQIM.
Negli ultimi anni, la sfera jihadista saheliana ha in gran parte giocato secondo le proprie regole. Le organizzazioni basate nel Sahel hanno progressivamente guadagnato rilevanza sotto la guida di figure locali, come Iyad Ag Ghali, maliano di etnia tuareg, che ha fatto parte del Movimento popolare dell’Azawad negli anni ’90. I gruppi più attivi della regione, quali Katiba Macina e ISGS non erano sotto il comando diretto di Droukdel.
Sebbene rappresenti un’importante avvenimento simbolico, la morte di Droukdel probabilmente non comporterà uno spostamento significativo dell’equilibrio di potere, né un indebolimento dei gruppi jihadisti del Sahel. Il clima di sicurezza, di natura estremamente complessa, rivela una realtà distinta: la morte di Droukdel è solo un successo figurativo e non porterà a una tangibile regressione della violenza nel Sahel.
Attualmente, secondo il Fragile State Index 2020, il Ciad, il Niger e il Mali registrano score rispettivamente di 106, 95 e 96, occupando così la zona di allarme. Amplificata dall’assenza di robusti apparati statali e dalla presenza di reali carenze istituzionali, l’attività dei gruppi terroristici in tutti i Paesi del Sahel, ha provocato lo sfollamento di migliaia di civili. Chiaramente, questo ciclo di violenza conferma il fatto che l’influenza di Droukdel non è stata decisiva per modellare l’ordine nel Sahel.
Droukdel era nato nel 1970 a Meftah, in Algeria. La carriera jihadista che lo ha fatto emergere come uno dei più longevi comandanti regionali di al-Qaeda, fino a diventare emiro di AQIM, è iniziata con il suo coinvolgimento nel Groupe Islamique Armé, un gruppo ribelle islamico nato durante la guerra civile algerina. Il gruppo si separò e ne nacque il Groupe Salafiste pour la Prédication et le Combat, che Droukdel ha guidato a partire dal 2004.
Considerato un leader carismatico, Droukdel ha svolto un ruolo chiave nello stabilire connessioni tra la jihad globale e locale. Sotto la sua guida, AQIM si è allargata oltre l’Algeria tanto da essere identificata come una minaccia regionale, in particolare nel Sahel, operando in Mali, Mauritania, Libia, Tunisia e Niger.
Nel 2012 Droukdel fu condannato da un tribunale in Algeria per omicidio, appartenenza a un’organizzazione terroristica e attentati letali. Ha eluso la cattura per anni, nonostante la significativa presenza di forze armate francesi in risposta alle operazioni jihadiste in Mali, nell’operazione Serval e nell’operazione Barkhane, insieme ad altre forze, tra cui oltre 14.000 truppe ONU.
L’Italia da tempo è coinvolta nel Sahel. Contribuisce alle azioni multilaterali in materia di controllo nell’area, attraverso la missione di stabilizzazione MINUSMA (United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission) in Mali, l’EUCAP (European Union Capacity Building Mission) in Niger e nel Sahel, l’EUTM (EU-Training Mission) in Mali e il progetto GAR-SI Sahel (Groupes d’Action Rapides – Surveillance et Intervention au Sahel), guidato dalla Spagna.
Tra il 2017 e il 2019, l’Italia ha concluso accordi bilaterali con Burkina Faso, Niger e Ciad, contribuendo ai lavori della coalizione del G5-Sahel, che mirano a preservare il ruolo di interlocutore privilegiato nel continente africano, oltre che sul piano demografico, anche su quello economico-produttivo.
L’interesse strategico italiano si destreggia tra il controllo della frontiera con la Libia, la stabilità del nord Africa, la gestione delle rotte migratorie e lo sfruttamento di fonti energetiche in Africa sub-sahariana.
Anche l’ultimo decreto missioni internazionali, deliberato lo scorso 4 giugno, conferma per il 2020, un rinnovato interesse strategico dell’Italia in Africa sub-sahariana. La novità di maggiore rilievo, riguarda i 15 milioni di euro, investiti dal governo, per la partecipazione italiana alla task force Takuba, organo multinazionale con l’ufficiale mandato di addestrare e assistere le forze armate e le forze speciali locali, nella lotta contro i gruppi armati jihadisti nel Sahel. Nena News
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