Con i suoi attacchi Washington punta sul cambio di regime. Ma se in passato gli iraniani chiedevano maggiori diritti, oggi protestano per la corruzione, il ritardo dei salari, la svalutazione del rial
di Farian Sabahi
Roma, 24 luglio 2018, Nena News – «Non è la prima volta che le autorità iraniane minacciano di chiudere lo Stretto di Hormuz. E non è detto siano in grado di farlo, perché nel Golfo persico c’è una massiccia presenza militare americana. E poi gli iraniani sarebbero i primi a risentirne, perché da lì transitano anche petrolio e merci della Repubblica islamica». Docente all’Università di Exeter e autore del saggio Iran Rivoluzionario (Libreria Editrice Goriziana ), Michael Axworthy commenta così le minacce del leader supremo iraniano Ali Khamenei di chiudere lo Stretto di Hormuz nel caso in cui Washington dovesse imporre l’embargo sull’oro nero iraniano.
Dallo Stretto di Hormuz, che collega il Golfo persico al mare arabico, transita il 90% del petrolio estratto nella regione, chiuderlo vuol dire bloccare il 20% degli approvvigionamenti del pianeta con ovvie conseguenze sul prezzo globale dell’energia. L’embargo dovrebbe scattare il 4 novembre, una data simbolica perché è l’anniversario della presa degli ostaggi americani nell’ambasciata di Teheran pochi mesi dopo la Rivoluzione del 1979.
Se anche Trump riuscisse a imporre un embargo sul petrolio iraniano, difficilmente potrebbe configurarsi uno scenario come quello dell’Iraq al tempo di Saddam Hossein, ovvero il baratto di petrolio in cambio di cibo. È vero, in questo momento la situazione economica della Repubblica islamica si è aggravata, ma gli ayatollah non sono isolati come lo era il dittatore iracheno: gli europei cercano di bypassare le sanzioni a stelle e strisce e la Cina continuerà a fare acquisti di energia da Teheran.
OLTRE AL PASSAGGIO delle petroliere dallo Stretto di Hormuz, in questi giorni abbiano sentito il presidente iraniano Rohani dire che «l’America dovrebbe sapere che la pace con l’Iran è la madre di tutte le paci, e la guerra con l’Iran è la madre di tutte le guerre». In risposta, Trump ha scritto su Twitter: «Fate attenzione. Non minacciate mai più gli Stati Uniti o ne pagherete le conseguenze, come pochi nella storia ne hanno sofferte prima. Non siamo un paese che tollererà più le vostre stupide parole di violenza e morte. Fate attenzione».
TRUMP E I SUOI ALLEATI puntano sul cambio di regime ma, se nel 2009 gli iraniani scendevano in strada reclamando maggiori diritti, oggi protestano per la corruzione e l’incompetenza di chi ha in mano le chiavi del potere, il mancato pagamento dei salari, la svalutazione del rial, le sanzioni internazionali, la siccità in diverse regioni, la mancanza di acqua, i tagli alla corrente elettrica che bloccano internet e l’aria condizionata. Ad allarmare gli iraniani è soprattutto la svalutazione della valuta locale: se nel 1979 servivano 70 rial per comprare un dollaro americano, questa settimana nelle vie del centro di Teheran i cambia valute chiedevano fino a 75mila rial a fronte di un dollaro.
L’aggravarsi della situazione ha colto di sorpresa gli iraniani, che nel 2013 avevano votato per il presidente moderato Rohani ed esultato per la firma dell’accordo nucleare a Vienna nel 2015 che avrebbe dovuto portare alla fine delle sanzioni e allo sdoganamento di Teheran. Il regime iraniano non è però sull’orlo del collasso. Al contrario, la sua leadership è in sella da quarant’anni e i meccanismi del potere sono ben oliati. A fare il gioco di ayatollah e pasdaran è poi il fatto che – nonostante le invettive di Trump e la minaccia di un embargo petrolifero, le sanzioni finanziarie non sono mai venute meno –, non tutti siano allineati con l’amministrazione Usa.
ORA, GLI SCENARI preoccupanti sul fronte interno sono due: il prevalere dei militari, in particolare dei pasdaran ovvero delle Guardie rivoluzionarie che si sono fatte strada con la guerra Iran-Iraq (1980-88) e poco alla volta si sono insediate nei gangli della politica; oppure, a fronte della sfiducia della popolazione nei confronti del presidente Rohani e del parlamento (e quindi degli organi eletti dai cittadini), un affermarsi degli organi non elettivi dominati dai falchi per i quali la priorità non è il benessere della Repubblica islamica e dei suoi cittadini, quanto piuttosto tenere alti i valori e l’ideologia della Rivoluzione del 1979. E quindi, in primis gli slogan contro gli Stati Uniti. Nena News