«Il problema non è l’Is, che potrebbe essere sconfitto nel giro di un mese ma, quello di alterare gli equilibri e la volontà di democratizzare l’area. Il “califfato” è stata creata dalle forze imperialiste per cui siamo con gli USA solo in questo momento per motivi tattici» dice il comandante Sendal
di Thomas Rei
Kirkuk (Iraq), 10 ottobre 2016, Nena News – Due campi profughi gestiti dall’ONU nelle vicinanze di Makhmura, destinati ad accogliere gli arabi fuggiti dalla zona e dalla città di Mosul, è la prima cosa che incontriamo sulla destinazione per Kirkuk. Pozzi e impianti petroliferi fiancheggiano la strada. Le fiamme libere nel cielo, consumano il pericoloso gas che fuoriesce dagli impianti, rendendo il cielo scuro e l’aria irrespirabile. La sera precedente, dalla collina sopra il campo di Makhmur, abbiamo visto analoghi incendi ad opera di Daesh [acronimo arabo dello Stato Islamico, ndr] in vari villaggi abbandonati o riconquistati dal Pkk. I posto di blocco, a pochi chilometri da Dakuk, sono molto più frequenti che in altre zone dell’Iraq.
Del resto, questa è la zona più ambita dai clan politici locali e le diplomazie internazionali. Intorno, l’aridità del terreno e l’inquinamento provocati dall’incuria dell’uomo. Esistono ancora alcuni appezzamenti coltivati a granturco per foraggio animale e accenni di agricoltura meccanizzata fanno ben sperare per il futuro. Tuttavia, appare impossibile pensare che questa terra, l’antica Mesopotamia, ricca di fiumi, fosse il cuore della più fiorente agricoltura del Medioriente.
Giungiamo alla base di Kirkuk del Pkk, a pochi chilometri dalla città, per aver informazioni dal comandante Serdar, sulla situazione politica e militare del momento. Lungo il tortuoso accesso alla base, ci accolgono sorridenti i guerriglieri dell’Hpg. Tutti parlano dell’intervento, avvenuto lo scorso anno, dei peshmerga per liberare Kirkuk, mentre in verità la liberazione della città è avvenuta grazie alla loro azione. Ritorna la questione dell’imminente l’offensiva su Raqqa e Mossul. Pur riconoscendo il valore strategico di tale intervento militare in quanto restano le uniche due basi importanti del Daesh, i curdi non possono accettare che il governo americano pretenda la loro partecipazione senza le loro bandiere.
Richiesta avanzata, a loro giudizio, dalla necessità per il governo americano di utilizzare tale operazione per propaganda interna visto l’approssimarsi delle elezioni presidenziali. “Dobbiamo prestare molta attenzione – continua il comandante Sendal - il problema non è Daesh, che potrebbe essere sconfitto nel giro di un mese ma, quello di alterare gli equilibri e la volontà di democratizzare l’area. Daesh è stata creata dalle forze imperialiste e quindi siamo con gli USA, solo in questo momento per motivi tattici. Sappiamo anche che soprattutto gli americani, forniscono armi ultramoderne ai peshmerga e non al Pkk ma, come nel Rojava, pensiamo di essere determinanti”.
Il Pkk è cosciente del rischio che, una volta sconfitto Daesh, il nemico per le forze imperialiste sarà il Confederalismo ma è pronto a sostenere questo urto come è stato per Kobane. “Il Confederalismo – ci dicono – ripropone una democrazia radicale contrapposta a quella visione della democrazia che si ha in Europa e nel mondo. Tutti parlano di democrazia, anche Erdogan lo fa, ma la vera democrazia si deve praticare ogni giorno con tutta la popolazione. Tra l’altro, l’ideologia del Confederalismo permette alle varie etnie e religioni di convivere e ripristinare quella convivenza tipica del medioriente distrutta dalla formazione degli stati nazionali da parte dei colonialisti europei”. Ed è anche per questo, che mantengono i contatti con tutti i popoli sottomessi, ad esempio palestinesi, colombiani e altri ancora. “La nostra collaborazione con il popolo palestinese – prosegue – risale al 1982 quando sono morti sulle alture del Golan, per mano israeliana, 12 nostri compagni”.
Nella vicina Dakuk vivono alcune famiglie della minoranza etnica religiosa perseguitata dagli uomini del Califfato: i Kakai. Ci accoglie il capo famiglia con stretto in cinta, sotto una fascia che lo avvolge, una pistola e due bombe a mano. I componenti maschi di questa minoranza si distinguono dagli altri cittadini grazie ai loro vistosi baffi. L’etnia di riferimento, per loro maggioranza, è kurda e praticano una religione della quale non possono parlare né fare proseliti. Attualmente vivono nella zona di Kirkuk, circa 2000 membri, mentre nel mondo sono oltre 4 milioni, per lo più dislocati in Iran, Siria, Turchia, Afghanistan, etc. La donna gode di estrema libertà, le famiglie sono monogame, non è ammesso il divorzio e la possibilità di sposarsi con persone di altre religioni.
“Daesh nella nostra zona ha occupato il villaggio dove vivevamo – ci comunica il capo famiglia – per cui siamo dovuti fuggire in città. I combattenti del PKK (HPG) intervenendo hanno impedito un massacro”. A circa 5 km da Dakuk si trova il fronte di guerra controllato dal PKK. Daesh è a 3 chilometri da noi, dietro la seconda linea di difesa. Ci riferiscono che i combattenti delle HPG, hanno creato una nuova arma chiamata “Zagros”, anti-cecchini a lunga gittata. I russi hanno chiesto di poterla riprodurre ma non l’hanno concesso perché quest’arma “dev’essere usata solo per motivi di difesa”.
Le donne guerrigliere, alcune presenti all’incontro, hanno una struttura autonoma ma nei momenti di guerra attaccano insieme ai combattenti uomini. Le ragazze presenti sono molto giovani (15-16 anni) però non possono entrare in combattimento sino al diciottesimo anno d’età. Oggi in questa zona non c’è una situazione di guerra attiva, ma l’attenzione è massima per la presenza di cecchini e kamicaze. Ci salutiamo con i guerriglieri schierati. Nena News